martedì 14 agosto 2012
sabato 4 agosto 2012
LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
CAPO I – LA NAZIONE –
LO STATO
Art. 1
La Nazione Italiana è
un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la
stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e
culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli
individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.
Art. 2
Lo Stato italiano è
una Repubblica sociale. Esso costituisce l’organizzazione giuridica integrale
della Nazione.
Art. 3
La Repubblica Sociale
Italiana ha come scopi supremi: 1) la conquista e la conservazione della
libertà dell’Italia nel mondo, perché questa possa esplicare e sviluppare tutte
le sue energie e assolvere, nel consorzio internazionale fondato sulla giustizia,
la missione civile affidatale da Dio, segnata dai ventisette secoli della sua
storia, voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai suoi geni
[le parole "voluta dai suoi profeti, dai suoi martiri, dai suoi eroi, dai
suoi geni" sono state cancellate da Mussolini e sostituite con la
congiunzione "e"], vivente nella coscienza nazionale; 2) il benessere
del popolo lavoratore, mediante la sua elevazione morale e intellettuale,
l’incremento della ricchezza del paese e un’equa distribuzione di questa, in
ragione del rendimento di ognuno nell’utilità [le parole
"nell’utilità" sono state cancellate da Mussolini e sostituite con le
parole "nella comunità"] nazionale.
Art. 4
La capitale della
Repubblica Sociale Italiana è Roma.
Art. 5
La bandiera nazionale
è quella tricolore: verde, bianca, rossa, col fascio repubblicano sulla punta
dell’asta.
Art. 6
La religione cattolica
apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana.
Art. 7
La Repubblica Sociale
Italiana riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale, come
attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle
esigenze della sua missione nel mondo. La Repubblica Sociale Italiana riconosce
alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusività ed assoluta potestà e
giurisdizione sovrana sulla Città del Vaticano.
Art. 8
I rapporti tra la
Santa Sede e la Repubblica Sociale Italiana si svolgono nel sistema
concordatario, in conformità dei Trattati e del Concordato vigenti.
Art. 9
Gli altri culti sono
ammessi, purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine
pubblico e al buon costume. L’esercizio anche pubblico di tali culti è libero,
con le sole limitazioni e responsabilità stabilite dalla legge.
CAPO II – STRUTTURA
DELLO STATO
Art. 10
La sovranità promana
[da] tutta la Nazione.
Art. 11
Sono organi supremi
della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica.
§ I – Il popolo – La
rappresentanza
Art. 12
Il popolo partecipa
integralmente, in modo organico e permanente, alla vita dello Stato e concorre
alla determinazione delle direttive, degli istituti e degli atti idonei al
raggiungimento dei fini della Nazione, col suo lavoro, con la sua attività
politica e sociale, mediante gli organismi che si formano nel suo seno per
esprimere gli interessi morali, politici ed economici delle categorie di cui si
compone, e attraverso l’Assemblea costituente e la Camera dei rappresentanti
del lavoro.
Art. 13
Nell’esplicazione
delle sue funzioni sociali lo Stato, secondo i principi del decentramento, si
avvale, oltre che dei propri organi diretti, di tutte le forze della Nazione,
organizzandole giuridicamente in enti ausiliari territoriali e istituzionali,
ai quali concede una sfera di autonomia ai fini dello svolgimento dei compiti
loro assegnati nel modo più efficace e più utile per la Nazione.
SEZIONE I –
L’ASSEMBLEA COSTITUENTE
Art. 14
L’Assemblea
Costituente è composta da un numero di membri pari a 1 ogni 50.000 cittadini.
Deve essere l’espressione di tutte le forze vive della Nazione e pertanto
debbono farne parte:
per ragione delle loro
funzioni: coloro che, al momento della riunione della Costituente, fanno parte
del Governo della Repubblica e ricoprono determinate cariche
nell’amministrazione centrale e periferica dello Stato, nella magistratura,
nell’ordine scolastico, in enti locali territoriali e istituzionali, in
organismi politici e culturali ai quali lo Stato abbia riconosciuti o assegnati
compiti di alto interesse nazionale. La legge stabilisce le cariche che
importano in chi le ricopre appartenenza alla Costituente. I membri di diritto
non possono superare un terzo dei componenti della Costituente;
per elezione popolare,
coloro che siano designati a far parte della Costituente dagli appartenenti
alle organizzazioni riconosciute dallo Stato quali rappresentanti:
dei lavoratori
(imprenditori, operai, impiegati, tecnici, dirigenti) dell’industria,
dell’agricoltura, del commercio, del credito e dell’assicurazione, delle
professioni e arti, dell’artigianato e della cooperazione;
dei dipendenti dallo
Stato e dagli enti pubblici;
degli ex-combattenti
per la causa nazionale, e, in particolare, dei decorati e dei volontari;
delle famiglie dei
caduti per la causa nazionale;
delle famiglie
numerose;
degli italiani
all’estero;
delle altre categorie
che in dati momenti della vita nazionale siano riconosciute, per legge,
espressione di importanti interessi pubblici.
La legge stabilisce i
requisiti e le forme per il riconoscimento di tali organizzazioni, nonché, per
ciascuna di esse, il numero e i modi dell’elezione dei rappresentanti nella
Costituente.
Art. 15
La Costituente elegge
il Duce della Repubblica Sociale Italiana. Delibera:
sulla riforma della
Carta costituzionale o sulle deroghe eccezionali alle norme della stessa;
sugli argomenti di
supremo interesse nazionale che il Duce intenda sottoporle, o sui quali la
decisione della Costituente sia richiesta dalla Camera dei rappresentanti del
lavoro, con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi membri di [sic, al
posto di "in"] carica.
Art. 16
La Costituente è
convocata dal Duce che ne fissa l’ordine del giorno. Nel caso di richiesta
della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi dell’articolo precedente,
la convocazione deve aver luogo entro un mese dal voto e nell’ordine del giorno
debbono essere inseriti gli argomenti indicati dalla Camera. In caso di
impedimento del Duce, la Costituente è convocata dal Capo del Governo. In caso
di morte del Duce la Costituente deve esser convocata per la nomina del
successore, entro un mese dalla morte.
SEZIONE II – LA CAMERA
DEI RAPPRESENTANTI DEL LAVORO
Art. 17
La Camera dei
rappresentanti del lavoro è composta di un numero di membri pari a 1 ogni
100.000 abitanti, eletti col sistema del suffragio universale diretto da tutti
i cittadini lavoratori maggiori degli anni 18. Di essa inoltre fanno parte di
diritto il Capo del Governo, nonché i Ministri e Sottosegretari di Stato.
Art. 18
Sono considerati
lavoratori coloro che sono rappresentati da un’Associazione professionale
riconosciuta e i dipendenti da enti eventualmente esenti dall’inquadramento.
Sono, agli effetti dell’elettorato attivo, equiparati ai lavoratori:
coloro che hanno
cessato di lavorare per ragioni di invalidità o vecchiaia;
coloro che seguono
regolarmente un corso di studi, in istituti scolastici statali o pareggiati;
coloro che siano
disoccupati involontari, o svolgano attività, da determinarsi per legge, fuori
del campo della disciplina professionale.
Art. 19
Possono essere eletti
rappresentanti del lavoro coloro che siano in possesso di tutti i seguenti
requisiti:
Siano maggiori degli
anni 25, oppure siano decorati al valor militare o civile, volontari di guerra,
mutilati o feriti di guerra o comunque per la causa nazionale, maggiori degli
anni 21;
siano elettori;
non abbiano subito
condanne per delitti o atti incompatibili colla dignità e il prestigio di
rappresentanti del lavoro. La legge determina tali delitti o atti, escludendo
quelli compiuti per ragioni di convinzioni politiche.
Art. 20
I membri della Camera
rappresentano tutto il popolo lavoratore, e non gli appartenenti alle
circoscrizioni territoriali o alle categorie professionali che li hanno eletti.
Art. 21
I rappresentanti del
lavoro non possono essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni se non dopo
aver prestato il giuramento dinanzi a Dio e ai Caduti della patria di servire
con fedeltà la Repubblica Sociale Italiana, di osservare lealmente la
Costituzione e le leggi, nel solo intento del bene della Nazione.
Art. 22
I rappresentanti del
lavoro hanno il dovere di esprimere le loro opinioni e di dare i loro voti
secondo coscienza e per i fini della loro funzione. Sono liberi e insindacabili
nell’esercizio delle loro funzioni.
Art. 23
I rappresentanti del
lavoro non possono essere arrestati, salvo il caso di flagranza di delitto, né
processati, senza l’autorizzazione preventiva della Camera.
Art. 24
I rappresentanti del
lavoro restano in carica per tutta la durata della legislatura (art. 25). E
sono rieleggibili. Decadono però dalla loro funzione:
se tradiscono il
giuramento prestato;
se perdono alcuno dei
requisiti per la loro eleggibilità;
se trascurano i doveri
della funzione rimanendo assenti per dieci sedute consecutive della Camera,
senza autorizzazione da accordarsi dal Presidente (art. 34); qualora concorrano
giustificati motivi.
Art. 25
I lavori della Camera
sono divisi in legislature. Ogni legislatura dura cinque anni, ma può essere
sciolta anche prima, nel caso stabilito dal presente Statuto. La fine di
ciascuna legislatura è stabilita con decreto del Duce, su proposta del Capo del
Governo (art. 50). Il decreto fissa anche la data di convocazione
dell’Assemblea per ascoltare il discorso del Duce, col quale si inizia la
legislatura successiva.
Art. 26
La Camera dei
rappresentanti del lavoro collabora col Duce e col Governo per la formazione
delle leggi. Per l’esercizio dell’ordinaria funzione legislativa la Camera è
periodicamente convocata dal Capo del Governo.
Art. 27
Il potere di
proposizione delle leggi spetta al Duce (art. 41) e ai rappresentanti del
lavoro (art. 49).
Art. 28
La Camera esercita le
sue funzioni per mezzo dell’Assemblea plenaria, della Commissione generale del
bilancio e delle Commissioni legislative.
Art. 29
È di competenza
esclusiva della Assemblea plenaria la discussione e l’approvazione:
dei disegni di legge
concernenti: le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo; la facoltà
del Governo di emanare norme giuridiche; l’ordinamento professionale; i
rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; i trattati internazionali che importino
variazioni al territorio dello Stato e delle Colonie; l’ordinamento
giudiziario, sia ordinario che amministrativo; le deleghe legislative di
carattere generale;
dei progetti di
bilancio e di rendiconto consuntivo dello Stato, delle aziende autonome statali
e degli enti pubblici economici di importanza nazionale la cui gestione sia
rilevante per il bilancio dello Stato;
dei disegni di legge
per i quali tale forma di discussione sia richiesta dal Governo o
dall’Assemblea, oppure proposta dalle Commissioni e autorizzata dal Capo del
Governo;
delle proposte di
sottoporre alla Costituente la decisione di argomenti di supremo interesse
nazionale.
Art. 30
Le sedute
dell’Assemblea plenaria sono pubbliche. Però la riunione può esser tenuta in
segreto, quando lo richiedano il Capo del Governo o almeno venti [cancellato da
Mussolini e corretto con "cinquanta"] dei rappresentanti del lavoro.
Le votazioni hanno sempre luogo in modo palese.
Art. 31
Le commissioni
legislative sono costituite, in relazione a determinate attività nazionali, dal
Presidente della Camera. Esse eleggono nel proprio seno il Presidente; a questo
spetta convocarle.
Art. 32
Sono [sic, al posto di
"È"] di competenza delle Commissioni la emanazione delle norme
giuridiche, aventi oggetto diverso da quello indicato nell’art. 28 e che
importano creazione, modifica o perdita dei diritti soggettivi dei cittadini,
salvo che la legge ne attribuisca la competenza anche ad altri enti e organi.
La legge determina i modi, le forme e i termini per la discussione e
l’approvazione dei disegni di legge sottoposti alle Commissioni legislative.
Art. 33
Le deliberazioni
dell’Assemblea plenaria e delle Commissioni sono prese a maggioranza assoluta,
salvo il caso dell’art. 15. Nessuna deliberazione è valida se non [è] presa con
la presenza di almeno due terzi e col voto di almeno la metà dei rappresentanti
del lavoro in carica.
Art. 34
La Camera:
provvede alla
approvazione e modifica del suo regolamento;
elegge, al principio
di ogni legislatura, il proprio Presidente e i Vice-Presidenti.
Il Presidente nomina
alle altre cariche stabilite dal regolamento della Camera.
§ II – Il Duce della
Repubblica Sociale Italiana
Art. 35
Il Duce della Repubblica
Sociale Italiana è il Capo dello Stato. Quale supremo interprete della volontà
nazionale, che è la volontà dello Stato, realizza in sé l’unità dello Stato.
Art. 36
È eletto
dall’Assemblea Costituente. Dura in carica cinque [cancellato da Mussolini e
corretto con "sette"] anni. È rieleggibile [Mussolini ha aggiunto le
parole "una volta sola"].
Art. 37
All’atto
dell’assunzione delle sue funzioni, deve prestare giuramento dinanzi a Dio e ai
Caduti per la Patria, di servire la Repubblica Sociale Italiana con tutte le
sue forze e di ispirarsi in ogni atto del suo ufficio all’interesse supremo
della Nazione e alla giustizia sociale.
Art. 38
Il Duce non è
responsabile verso alcun altro organo dello Stato per gli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni.
Art. 39
Il Duce comanda tutte
le forze armate, in tempo di pace a mezzo del Ministro per la Difesa Nazionale,
in tempo di guerra a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale; dichiara la
guerra; fa i trattati internazionali, dandone comunicazione alla Costituente o
alla Camera dei rappresentanti del lavoro appena che ritenga ciò consentito dai
supremi interessi dello Stato. I trattati che importino variazioni nel territorio
dello Stato, limitazioni o accrescimenti della sua sovranità o oneri per le
finanze, non diventano esecutivi se non dopo avere ottenuto l’approvazione
della Costituente o della Camera dei rappresentanti del lavoro, ai sensi di
questa Costituzione.
Art. 40
Il Duce esercita il
potere legislativo in collaborazione con il Governo e con la Camera dei
rappresentanti del lavoro.
Art. 41
Il Duce convoca ogni
anno la Camera. Può prorogarne le sessioni.
Art. 42
Qualora ravvisi il
dissenso politico tra il popolo dei lavoratori e la Camera, il Duce può
scioglierla, convocandone un’altra nel termine di tre mesi.
Art. 43
Il Duce presenta alla
Camera i disegni di legge per mezzo del Governo.
Art. 44
Il Duce sanziona le
leggi.
Art. 45
Al Duce appartiene il
potere esecutivo. Esso lo esercita direttamente e a mezzo del Governo. Il Duce
promulga le leggi. Il Duce nomina a tutte le cariche dello Stato. Con decreto
del Duce, sentito il Consiglio dei Ministri, sono emanate le norme giuridiche
per disciplinare:
l’esecuzione delle
leggi;
l’uso delle facoltà
spettanti al potere esecutivo;
l’organizzazione e il
funzionamento delle amministrazioni dello Stato, e di altri enti pubblici
indicati dalla legge.
Con decreto del Duce,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, possono emanarsi norme aventi
forza di legge:
quando il Governo sia
a ciò delegato da una legge;
nei casi di urgente e
assoluta necessità sulla materia di competenza dell’Assemblea generale e delle
Commissioni legislative della Camera, nonché per la messa in vigore dei disegni
di legge su cui le Commissioni legislative non abbiano deliberato nei termini
fissati dalla legge. In questi casi il Decreto del Duce deve essere a pena di
decadenza presentato alla Camera, per la conversione in legge, entro sei mesi
dalla sua pubblicazione. Se la Camera non l’approvi e decorrano due anni dalla
pubblicazione, senza che sia intervenuta la conversione, il decreto cessa di
aver vigore.
Art. 46
Il Duce ha il diritto
di amnistia, di grazia e di indulto.
Art. 47
Al Duce spetta di
istituire ordini cavallereschi e stabilirne gli statuti.
Art. 48
I titoli di nobiltà
sono mantenuti a coloro che vi hanno diritto. Al Duce spetta di conferirne di
nuovi.
§ III – Il Governo
Art. 49
Il Governo della
Repubblica è costituito dal Capo del Governo e dai Ministri.
Art. 50
Il Capo del Governo è
nominato e revocato dal Duce. È responsabile verso il Duce dell’indirizzo
generale politico del Governo.
Art. 51
Il capo del Governo
dirige e coordina l’opera dei Ministri, convoca il consiglio dei Ministri, ne
fissa l’ordine del giorno e lo presiede.
Art. 52
Nessuno oggetto può
esser posto all’ordine del giorno della Camera, senza il previo assenso del
Capo del Governo.
Art. 53
L’assenso del Capo del
Governo è necessario per presentazione alla Camera delle proposte di legge di
iniziativa dei rappresentanti del lavoro.
Art. 54
I Ministri sono
nominati e revocati dal Duce su proposta del Capo del Governo. Sono
responsabili verso il Duce e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e
provvedimenti dei loro Ministeri.
Art. 55
I sottosegretari di
Stato sono nominati e revocati dal Duce, su proposta del Capo del Governo,
sentito il Ministro competente.
Art. 56
A giudicare dei reati
commessi da un Ministro con abuso delle sue funzioni, è competente la Camera
costituita in Corte giurisdizionale. L’azione è esercita da Commissari nominati
all’inizio di ogni legislatura e sostituiti in caso di vacanza, dal Presidente
della Camera. Contro le sentenze pronunziate dalla Camera come Corte
giurisdizionale non è dato alcun ricorso.
§ IV – Le forze armate
Art. 57
Le forze armate hanno
lo scopo di combattere per la difesa dell’onore, della libertà e del benessere
della Nazione. Esse comprendono l’Esercito, la Marina da guerra, l’Aeronautica.
Art. 58
La bandiera di
combattimento per le forze armate è il tricolore, con fregio e una frangia
marginale di alloro, e ai quattro lati il fascio repubblicano, una granata,
un’àncora e un’aquila.
Art. 59
La coscrizione
militare è un servizio d’onore per il popolo italiano, ed un privilegio per la
parte più eletta di esso. Tutti i cittadini hanno il diritto e il dovere di
servire in armi la Nazione, quando ne abbiano la idoneità fisica e non si
trovino nelle condizioni di indegnità morale, stabilite dalla legge.
Art. 60
Al Duce soltanto
spettano nei riguardi delle forze armate i poteri di coordinamento; di nomina e
di promozione, di ispezione, di dislocazione delle truppe, di mobilitazione.
§ V – La giurisdizione
Art. 61
La giurisdizione
garantisce l’attuazione del diritto positivo nello svolgimento dei fatti e dei
rapporti giuridici.
Art. 62
Le sentenze sono
emanate nel nome della Legge, della quale esse realizzano la volontà.
Art. 63
La funzione
giurisdizionale è esercitata dai giudici, collegiali o unici, nominati dal
Duce. La loro organizzazione, la loro competenza per materia e per territorio,
la procedura che debbono seguire nello svolgimento delle loro funzioni, sono
regolate dalla legge.
Art. 64
Una sola Suprema Corte
di cassazione è costituita per tutta la Repubblica. Essa ha sede in Roma. Ad
essa spetta di assicurare un’uniforme interpretazione e applicazione del
diritto da parte dei giudici di merito, e di risolvere i conflitti di
attribuzione tra l’autorità giudiziaria e quella amministrativa.
Art. 65
Nell’esercizio delle
sue funzioni è garantita piena indipendenza alla magistratura: questa è
vincolata dalla legge e soltanto dalla legge.
Art. 66
Nessuno può esser
punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge, né con
pene che non siano da essa stabilite, né senza un giudizio svolto con le regole
da essa fissate.
Art. 67
Nei casi che debbono
essere determinati con legge approvata dall’Assemblea della Camera, possono
essere istituiti tribunali straordinari per un tempo limitato, e per
determinati delitti. La giurisdizione dei tribunali militari non può essere
estesa a cittadini non in servizio militare se non in tempo di guerra e per i
reati espressamente preveduti dalla legge.
Art. 68
Quando lo Stato e gli
altri enti pubblici agiscono nel campo del diritto privato sono pienamente
soggetti al codice civile e alle altre leggi.
Art. 69
Gli organi
amministrativi dello Stato e degli altri enti pubblici debbono ispirarsi
nell’esercizio delle loro funzioni alla realizzazione del principio della
giustizia nell’amministrazione.
Art. 70
Colui che sia stato
leso da un atto amministrativo in suo interesse legittimo, dopo l’esperimento
dei ricorsi gerarchici, in quanto ammessi, può proporre contro l’atto stesso
ricorso per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza dinanzi agli organi
della giustizia amministrativa. Questi, oltre alla generale competenza di
legittimità, hanno competenza di merito nei casi stabiliti dalla legge.
§ VI – La difesa della
stirpe
Art. 71
La Repubblica
considera l’incremento demografico come condizione per l’ascesa della Nazione e
per lo sviluppo della sua potenza militare, economica, civile.
Art. 72
La politica
demografica della Repubblica si svolge con tre finalità essenziali: numero,
sanità morale e fisica, purità della stirpe.
Art. 73
Presupposto della
politica demografica è la difesa della famiglia, nucleo essenziale della
struttura sociale dello Stato. La Repubblica la attua proteggendo e
consolidando tutti i valori religiosi e morali che cementano la famiglia, e in
particolare:
col favore accordato
al matrimonio, considerato anche quale dovere nazionale e fonte di diritti,
perché esso possa raggiungere tutte le sue alte finalità, prima: la
procreazione di prole sana e numerosa;
col riconoscimento
degli effetti civili al sacramento del matrimonio, disciplinato nel diritto
canonico;
col divieto di
matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica, e con la
speciale disciplina del matrimonio di cittadini italiani con sudditi di altre
razze o con stranieri;
con la tutela della
maternità;
con la prestazione di
aiuti e assistenza per il sostenimento degli oneri familiari. Speciali
agevolazioni spettano alle famiglie numerose.
Art. 74
La protezione
dell’infanzia e della giovinezza è un’elevata funzione pubblica, che la
Repubblica svolge, anche a mezzo appositi istituti, con l’ingerenza
nell’attività educativa familiare (art. 76), con la protezione della filiazione
illegittima e con l’assistenza tutelare dei minori abbandonati.
§ VII – L’educazione e
l‘istruzione del popolo
SEZIONE I –
Dell’Educazione
Art. 75
La Repubblica pone tra
i suoi principali compiti istituzionali l’educazione morale, sociale e politica
del popolo.
Art. 76
L’educazione dei
figli, conforme ai principi della morale e del sentimento nazionale, è il supremo
obbligo dei genitori. Lo Stato, col rispetto dei diritti e dei doveri della
patria potestà, invigila perché l’educazione familiare raggiunga i suoi fini di
formare l’onesto cittadino, lavoratore e soldato, e si avvale degli ordinamenti
scolastici per integrare e indirizzare l’opera della famiglia. Ove quest’opera
manchi, provvede a sostituirla, affidandone lo svolgimento a istituti di
pubblica assistenza o a privati.
Art. 77
Organo fondamentale
dell’educazione politica del popolo è il Partito fascista repubblicano. Esso è
riconosciuto come organo ausiliario dello Stato, e ha quali compiti essenziali:
difendere e potenziare
la rivoluzione, secondo i principi della dottrina di cui esso è assertore e
depositario;
suscitare e rafforzare
nel popolo la coscienza, la passione, la [corretto da Mussolini in "la
passione della"] solidarietà nazionale, e il dovere di subordinare tutti
gli interessi individuali e collettivi, all’interesse supremo della libertà
della Nazione nel mondo;
diffondere nel popolo
la conoscenza dei problemi internazionali e interni che interessano l’Italia.
Art. 78
L’iscrizione al P.F.R.
non importa alcun privilegio o speciale diritto. Essa importa il dovere di
votarsi fino al limite estremo delle proprie forze, con assoluto disinteresse e
purità d’intenti, alla causa nazionale. Fuor del campo delle attività aventi
carattere preminentemente politico, l’iscrizione al P.F.R. non è condizione né
costituisce titolo di preferenza per l’assunzione o la conservazione di
impieghi e cariche né per il trattamento morale ed economico dei lavoratori.
SEZIONE II –
Dell’Istruzione
Art. 79
La scuola si propone
la formazione di una cultura del popolo, inspirata agli eterni valori della
razza italiana e della sua civiltà.
Art. 80
I programmi scolastici
sono fissati in vista della funzione della scuola per l’educazione delle nuove
generazioni.
Art. 81
L’accesso agli studi e
la loro prosecuzione sono regolati esclusivamente col criterio delle capacità e
delle attitudini dimostrate. Collegi di Stato garantiscono la continuazione
degli studi ai giovani capaci non abbienti.
Art. 82
L’istruzione
elementare, da impartirsi in scuole chiare e salubri, è obbligatoria e gratuita
per tutti i cittadini della Repubblica.
Art. 83
La Repubblica Sociale
Italiana considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica
l’insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla
tradizione cattolica: perciò l’insegnamento religioso è obbligatorio nelle
scuole pubbliche elementari e medie. La legge può stabilire particolari casi di
esenzione.
Art. 84
La fondazione e
l’esercizio di istituti privati di istruzione sono ammessi soltanto previa
autorizzazione dello Stato e sotto controllo di questo sull’organizzazione, i
programmi e la capacità morale e formazione scientifica degli insegnanti.
§ VIII –
L’amministrazione locale
Art. 85
I Comuni e le
Provincie sono enti ausiliari dello Stato. La loro istituzione e le loro
circoscrizioni sono regolate dalla legge.
Art. 86
I Comuni e le
Provincie hanno come fine esclusivo la tutela degli interessi amministrativi
dei cittadini che loro appartengono. A tal fine sono muniti dallo Stato di
poteri, che debbono esercitare coordinandoli e subordinandoli agli interessi
superiori della Nazione. Nello svolgimento delle loro funzioni i Comuni e le
Province agiscono in modo autonomo, secondo i principi del decentramento
amministrativo, ma sono sottoposti al controllo di legittimità e, nei casi
stabiliti dalla legge, al controllo di merito degli organi diretti dallo Stato.
Art. 87
Gli organi
dell’amministrazione autonoma locale sono stabiliti dalla legge. I Consigli
comunali e provinciali sono eletti col sistema del suffragio universale diretto
dai cittadini lavoratori residenti domiciliati nel territorio del Comune o
della Provincia.
Art. 88
I Consigli eleggono
nel loro seno il Podestà del Comune e il Preside della Provincia. La legge
stabilisce le cause di incapacità, ineleggibilità, incompatibilità per le
nomine a Podestà o a Preside. Tali nomine sono soggette all’approvazione dello
Stato, da darsi con decreto del Duce.
CAPO III – DIRITTI E
DOVERI DEL CITTADINO
Art. 89
La cittadinanza
italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla
legge, sulla base del principio che essa è titolo d’onore da riconoscersi e
concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana. In
particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla
razza ebraica e a razze di colore.
Art. 90
I sudditi di razza non
italiana non godono del diritto di servire l’Italia in armi, né, in genere, dei
diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge,
secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed
economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo
del diritto privato. In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in
quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri.
Art. 91
Fondamentale dovere
del cittadino è quello di collaborare con tutte le sue forze, e in ogni campo
della sua attività, al raggiungimento dei fini supremi della Repubblica Sociale
Italiana, accettando volenterosamente e disciplinatamente, gli oneri, le
restrizioni ed i sacrifici che rispondono alle esigenze nazionali, per il
principio che non può essere veramente libero se non il cittadino della Nazione
libera.
Art. 92
Tutti i cittadini sono
uguali dinanzi alla legge.
Art. 93
I diritti civili e
politici sono attribuiti a tutti i cittadini. Ogni diritto soggettivo, pubblico
e privato, importa il dovere dell’esercizio in conformità del fine nazionale
per cui è concesso. A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l’esercizio.
Art. 94
La libertà personale è
garantita. Nessuno può essere arrestato se non nei casi previsti e nelle forme
prescritte dalla legge. Nessun cittadino, arrestato in flagrante o fermato per
misure preventive, può esser trattenuto oltre tre giorni senza un ordine
dell’autorità giudiziaria nei casi previsti e nelle forme prescritte dalla
legge.
Art. 95
Il domicilio è
inviolabile. Tranne i casi di flagranza, nessuna visita o perquisizione
domiciliare è consentita senza ordine dell’autorità giudiziaria nei casi
previsti e nelle forme prescritte dalla legge.
Art. 96
A ogni cittadino deve
esser assicurata la facoltà di controllo, diretto o a traverso i suoi
rappresentanti, e di responsabile critica sugli atti politici e su quelli della
pubblica amministrazione, nonché sulle persone che li compiono o vi sono
preposte.
Art. 97
La libertà di parola,
di stampa, d’associazione, di culto è riconosciuta dalla Repubblica come
attributo essenziale della personalità umana e come strumento utile per gli
interessi e per lo sviluppo della Nazione. Deve esser garantita fino al limite
in cui è compatibile con le preminenti esigenze dello Stato e con la libertà
degli altri individui.
Art. 98
L’organizzazione
politica è libera. I partiti possono esplicare la loro attività di propaganda
delle loro idee e dei loro programmi, purché non in contrasto con i fini
supremi della Repubblica.
Art. 99
L’organizzazione
professionale è libera. Ma soltanto la Confederazione unitaria del lavoro della
tecnica e delle arti, o le associazioni ad essa aderenti e riconosciute dallo
Stato, rappresentano legalmente gli interessi di tutte le categorie produttive
e sono munite di pubblici poteri per lo svolgimento delle loro funzioni.
Art. 100
È vietata, salva la
preventiva autorizzazione dello Stato nel territorio della Repubblica, la
costituzione di associazioni aderenti a organizzazioni sindacali o politiche
straniere o internazionali, o che ne costituiscano sezioni o comunque
conservino con esse collegamenti.
Art. 101
È vietata nel
territorio della Repubblica la costituzione di società segrete.
CAPO IV – STRUTTURA
DELL’ECONOMIA NAZIONALE
§ I – La produzione e
il lavoro
SEZIONE I – La
Produzione
Art. 102
Il complesso della
produzione è unitario dal punto di vista nazionale. Suoi obiettivi sono il
benessere dei singoli e lo sviluppo della potenza della Nazione.
Art. 103
Nel campo della
produzione la Repubblica si propone di conseguire l’indipendenza economica
della Nazione, condizione e garanzia della sua libertà politica nel mondo. A
tale scopo la Repubblica, oltre a promuovere in tutti i modi l’aumento, il
perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi, fissa, a mezzo dei
suoi organi e degli enti idonei, le direttive e i piani generali della
produzione nazionale o di settori di questa. All’osservanza di tali direttive e
al successo di tali piani sono impegnati tutti i lavoratori, sia nella
determinazione degli indirizzi, che nello svolgimento dell’attività produttiva.
Art. 104
Nei rapporti tra le
categorie dei vari rami della produzione nazionale, come nel seno di ogni
singola impresa, si attua la collaborazione dei diversi fattori della
produzione tra loro, il contemperamento dei loro interessi, la loro
subordinazione agli interessi superiori della Nazione.
Art. 105
La Repubblica
considera la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio individuale,
come completamento e mezzo di esplicazione della personalità umana, e ne
riconosce la funzione sociale e nazionale, quale un mezzo efficace per sviluppare
e moltiplicare la ricchezza e per porla a servizio della Nazione. A questi
titoli la Repubblica rispetta e tutela il diritto di proprietà privata e ne
garantisce l’esercizio e i trasferimenti sia per atto fra i vivi che per
successione legittima o testamentaria, secondo le regole stabilite dal codice
civile e dalle altre leggi.
Art. 106
La Repubblica protegge
con particolare cura la proprietà rurale, di interesse vitale per l’economia
nazionale e per la sanità morale e fisica della stirpe. Perciò favorisce con
ogni mezzo il ritorno ai campi, con la costruzione di case coloniche, con le agevolazioni
all’acquisto della piccola proprietà rurale da parte del più gran numero di
lavoratori, coltivatori diretti. Nei trasferimenti di terreni coltivabili o
coltivati non può farsi luogo a frazionamenti che non rispettino l’unità
colturale necessaria e sufficiente per il lavoro di una famiglia agricola o per
una conveniente coltivazione.
Art. 107
Si può procedere
all’espropriazione della proprietà privata per pubblico interesse, nei casi
legalmente accertati di pubblica utilità e quando il proprietario abbandoni o
trascuri l’esercizio del diritto in modo dannoso per l’economia nazionale. Si
può altresì disporre il trasferimento coattivo della proprietà, quando sia di
pubblico interesse assegnarne l’esercizio a persone o enti più adatti, ma solo
nelle ipotesi espressamente stabilite dalla legge. Sia in caso di
espropriazione che di trasferimenti coattivi nel pubblico interesse è dovuta al
proprietario una congrua indennità conformemente alle leggi.
Art. 108
La Repubblica
considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più
utile nell’interesse della Nazione, e pertanto la favorisce e la controlla.
Art. 109
L’organizzazione
privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale,
l’organizzatore dell’impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di
fronte alla Repubblica.
Art. 110
L’intervento dello
Stato nella gestione di imprese economiche ha luogo nei casi in cui siano in
giuoco interessi politici dello Stato, nonché per controllare l’iniziativa privata
e per incoraggiarla, integrarla e, quando sia necessario, sostituirla se essa
si dimostri insufficiente o manchi.
Art. 111
La Repubblica assume
direttamente la gestione delle imprese che controllino settori essenziali per
la indipendenza economica e politica del Paese, nonché di imprese fornitrici di
prodotti e servizi indispensabili a regolare lo svolgimento della vita
economica del Paese. La determinazione delle imprese che si trovino in tale
situazione è fatta per legge.
Art. 112
In caso di assunzione
della gestione di imprese private, per insufficienza della loro iniziativa, lo
Stato la affida ad altro gestore privato, oppure, ma soltanto per il periodo in
cui ciò non sia possibile o conveniente, a speciali enti pubblici.
SEZIONE II – Il Lavoro
Art. 113
Il lavoro è il
soggetto e il fondamento dell’economia produttiva.
Art. 114
Il lavoro, sotto tutte
le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali è un
dovere nazionale. Soltanto il cittadino che adempie il dovere del lavoro ha la
pienezza della capacità giuridica, politica e civile.
Art. 115
Come l’adempimento del
dovere di svolgere l’attività lavorativa secondo le capacità e attitudini di
ognuno è pari titolo di onore e di dignità, così la Repubblica assicura la
piena uguaglianza giuridica di tutti i lavoratori.
Art. 116
La Repubblica
garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e
l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della
domanda e dell’offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione
pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici dall’organizzazione
professionale riconosciuta.
Art. 117
Poiché la attuazione,
rigorosa e inderogabile, delle condizioni fondamentali costituenti garanzia del
lavoro è di preminente interesse pubblico, la disciplina del rapporto di lavoro
è affidata alla legge o alle norme da emanarsi dall’organizzazione
professionale riconosciuta. Tali norme si inseriscono automaticamente nei
contratti individuali, i quali possono contenere norme diverse ma soltanto più
favorevoli al lavoratore.
Art. 118
La retribuzione del
prestatore di lavoro deve corrispondere alle esigenze normali di vita, alle
possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. Oltre alla
retribuzione normale saranno corrisposti al lavoratore anche nello spirito di
solidarietà tra i vari elementi della produzione, assegni in relazione agli
oneri familiari.
Art. 119
L’orario ordinario di
lavoro non può superare le 44 ore settimanali e le 8 ore giornaliere, salvo
esigenze di ordine pubblico per periodi determinati e per settori produttivi da
stabilirsi per legge. La legge o le norme emanate dalle associazioni
professionali riconosciute stabiliscono i casi e i limiti di ammissibilità del
lavoro straordinario e notturno e la misura della maggiorazione di retribuzione
rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario.
Art. 120
Il lavoratore ha
diritto a un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la
domenica e a un periodo annuale di ferie retribuito.
Art. 121
Ogni lavoratore ha
diritto a sciogliere il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Se il
licenziamento avviene senza sua colpa, il lavoratore ha diritto, oltre a un
congruo preavviso, a un’indennità proporzionata agli anni di servizio.
Art. 122
In caso di morte del
lavoratore, quanto a questo spetterebbe se fosse licenziato senza sua colpa,
spetta ai figli, al coniuge, ai parenti conviventi a carico o agli eredi, nei
modi stabiliti dalla legge.
Art. 123
La previdenza è
un’alta manifestazione del principio di collaborazione tra tutti gli elementi
della produzione, che debbono concorrere agli oneri di essa. La Repubblica
coordina e integra tale azione di previdenza, a mezzo dell’organizzazione
professionale, e con la costituzione di speciali Istituti per l’incremento e la
maggiore estensione delle assicurazioni sociali. L’opera convergente dello
Stato e delle categorie interessate deve garantire a tutti i lavoratori piena
assistenza per la vecchiaia, l’invalidità, gli infortuni sul lavoro, le
malattie, la gravidanza e puerperio, la disoccupazione involontaria, il
richiamo alle armi.
Art. 124
Allo scopo di dare e
accrescere la capacità tecnica e produttiva e il valore morale dei lavoratori e
di agevolare l’azione selettiva tra questi, la Repubblica anche a mezzo
dell’associazione professionale riconosciuta, promuove e sviluppa l’istruzione
professionale.
§ II – La gestione
socializzata dell’impresa
Art. 125
La gestione
dell’impresa, sia essa pubblica che privata, è socializzata. Ad essa prendono
parte diretta coloro che nell’impresa svolgono, in qualunque forma, una
effettiva attività produttiva.
Art. 126
Ogni impresa ha un
capo, responsabile di fronte allo Stato, politicamente e giuridicamente,
dell’andamento della produzione e della disciplina del lavoro nell’impresa.
Art. 127
Il capo dell’impresa
pubblica è nominato dal Governo.
Art. 128
Il capo dell’impresa
privata è l’imprenditore. Imprenditore è colui che ha organizzato l’impresa,
determinandone l’oggetto e lo scopo economico, o colui che ne ha preso posto.
Nelle imprese individuali o ad amministratore unico, il capo dell’impresa è il
titolare o l’amministratore unico. Nelle imprese con organo amministrativo
collegiale il capo dell’impresa è stabilito, dallo statuto o dall’atto
costitutivo, nella persona del Presidente del Consiglio di amministrazione o
dell’Amministratore delegato o di un tecnico, che può essere estraneo al
Consiglio, e a cui si conferiscono le funzioni di Direttore generale.
Art. 129
Le aziende pubbliche
sono amministrate da un Consiglio di gestione eletto dai lavoratori
dell’impresa, operai, impiegati tecnici. Il Consiglio di gestione decide su
tutte le questioni inerenti all’indirizzo e allo svolgimento della produzione
dell’impresa nel quadro del piano unitario nazionale determinato dalla
Repubblica a mezzo dei suoi competenti organi; forma il bilancio dell’impresa e
delibera la ripartizione degli utili determinando la parte spettante ai
lavoratori; decide sulle questioni inerenti alla disciplina e alla tutela del
lavoro.
Art. 130
Nelle imprese private,
degli organi collegiali di amministrazione, formati secondo la legge, gli atti
costitutivi e gli statuti fanno parte i rappresentanti degli operai, impiegati
e tecnici dell’impresa in numero non inferiore a quello dei rappresentati
eletti dall’assemblea dei portatori del capitale sociale, e uno o più
rappresentanti dello Stato qualora esso partecipi alla formazione del capitale.
Art. 131
Nelle imprese
individuali e in quelle per le quali l’atto costitutivo e gli statuti prevedano
un amministratore unico, qualora esse impieghino complessivamente almeno
cinquanta lavoratori, verrà costituito un consiglio di operai, impiegati e
tecnici dell’impresa di almeno tre membri. Il Consiglio collabora col titolare
dell’impresa e con l’amministratore unico alla gestione dell’impresa. Deve
esser sentito per la formazione del bilancio e per le decisioni che importino
trasformazione della struttura, della forma giuridica e dell’oggetto
dell’impresa.
Art. 132
In ogni impresa, che
occupi più di dieci lavoratori, si costituisce il consiglio di fabbrica, eletto
da tutti gli operai, impiegati e tecnici, il quale partecipa alla formazione
dei regolamenti interni e alla risoluzione delle questioni che possano sorgere
nella loro applicazione. Nelle imprese in cui non vi sia un organo collegiale,
di amministrazione né il consiglio dei lavoratori, il capo dell’impresa deve
sentire il parere del consiglio di fabbrica nelle questioni riguardanti la
disciplina del lavoro, e può sentirlo nelle altre questioni che egli intenda di
sottoporgli.
Art. 133
La legge, in relazione
alla situazione economica, stabilisce i limiti massimi e i modi con cui può
esser determinato il compenso al capitale impiegato nell’impresa, in generale o
per i vari tipi di esse. Entro questi limiti e nei modi consentiti la
determinazione del compenso è stabilita convenzionalmente.
Art. 134
Gli utili
dell’impresa, dopo la deduzione del compenso dovuto al capitale, sono
distribuiti tra il capo, gli amministratori e gli operai, impiegati e tecnici
dell’impresa, nelle proporzioni fissate per legge, per norma collettiva o, in
mancanza degli atti costitutivi, dagli statuti e dalle deliberazioni degli
organi di gestione. La parte degli utili non distribuita, è assegnata alla
riserva nei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge, e se vi sia ancora
un’eccedenza, questa è devoluta allo Stato che l’amministra o la impiega per
scopi di carattere sociale.
§ III –
L’organizzazione professionale
Art. 135
Tutte le categorie di
prestatori d’opera e di lavoratori, operai, impiegati, dirigenti, di artigiani,
di imprenditori, di professionisti e gli artisti sono organizzati in
un’organizzazione professionale nazionale. Nel seno dell’organizzazione unica
possono formarsi sezioni per le varie branche della produzione e per le varie
categorie professionali.
Art. 136
L’associazione
professionale unica si ispira ai principi della Repubblica Sociale Italiana e
ne cura l’attuazione nel campo dell’economia nazionale: essa costituisce
l’organizzazione giuridica a traverso la quale si opera la trasformazione di
tutte le forze della produzione in forze nazionali, e si realizza la loro
partecipazione stabile alla costituzione e alla vita dello Stato.
Art. 137
L’organizzazione
professionale unica ha l’esclusiva integrale rappresentanza degli interessi
delle categorie in essa organizzate. In virtù di questa integrale rappresentanza,
essendo gli interessi delle categorie produttive, considerate nella loro
funzione nazionale, di supremo interesse statale, essa è giuridicamente
riconosciuta come ente ausiliario dello Stato.
Art. 138
L’associazione
professionale unica ha come precipui compiti istituzionali, che essa può
assolvere anche a traverso le associazioni che si formino nel suo seno:
tutelare gli interessi delle categorie rappresentate, contemperandoli tra loro
e subordinandoli ai fini superiori della Nazione; promuovere in tutti i modi
l’incremento qualitativo e quantitativo della produzione, e la riduzione dei
costi e dei prezzi di beni e servizi, nell’interesse dei produttori e dei
consumatori; curare che gli appartenenti alle categorie produttive si
uniformino, nell’esercizio della loro attività, ai principi dell’ordinamento
sociale nazionale e agli obblighi che vi derivano; assicurare l’uguaglianza
giuridica tra i vari elementi della produzione, suscitarne e rafforzarne la
solidarietà tra loro e verso la Nazione; promuovere ed attuare provvedimenti e
istituti di previdenza sociale fra i produttori; coltivare l’istruzione,
specialmente professionale, e l’educazione morale, politica e religiosa degli
appartenenti alle categorie; prestare assistenza ai produttori rappresentati;
in genere svolgere tutte le altre funzioni utili al mantenimento della
disciplina della produzione e del lavoro.
Art. 139
All’associazione
professionale unica, per l’assolvimento dei suoi compiti lo Stato affida
l’esercizio di poteri:
normativo, per cui,
nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge, essa detta norme giuridiche
obbligatorie per la disciplina dei rapporti collettivi di lavoro e può dettare,
ove se ne verifichi la necessità, norme giuridiche obbligatorie per la
disciplina dei rapporti collettivi economici ai fini del coordinamento della
produzione;
fiscale, per cui, onde
sostenere le spese obbligatorie facoltative connesse alle sue funzioni, può
imporre contributi a tutti i lavoratori rappresentati nella misura massima
stabilita dalla legge procedendo all’esazione colle procedure e i privilegi per
la riscossione delle imposte;
conciliativo, per cui
deve esperire il tentativo di conciliazione nelle controversie individuali e
collettive relative ai rapporti di lavoro e all’applicazione delle norme
collettive economiche da esso emanate: tale tentativo di conciliazione
costituisce un presupposto necessario per la proposizione delle relative
controversie giudiziarie;
disciplinare, per cui
può infliggere ai rappresentati sanzioni disciplinari determinate nello Statuto
dell’associazione, per inosservanza ai doveri nascenti dall’ordinamento sociale
nazionale; al fine di accertare tali eventuali inosservanze essa può disporre
gli opportuni controlli, a mezzo di propri organi e dei fiduciari di fabbrica,
ove siano istituiti;
consultivo, per cui il
suo parere deve esser sentito dalle amministrazioni dello Stato, nelle materie
interessanti la disciplina della produzione e del lavoro.
Art. 140
Nello svolgimento
delle sue funzioni la Confederazione unica gode di piena autonomia. I suoi atti
sono solamente sottoposti al controllo di legittimità, e le persone al
controllo politico dello Stato, a mezzo degli organi designati dalla legge.
Art. 141
Per la risoluzione
delle controversie collettive relative alla formazione, alla revisione o alla
interpretazione delle norme collettive di lavoro o alla interpretazione delle
norme collettive economiche, emanate dall’organizzazione professionale riconosciuta
è istituita la Magistratura del Lavoro, organo della Magistratura ordinaria. La
Magistratura del Lavoro è costituita da tre giudici dell’ordine giudiziario e
da due giudici esperti, da scegliere in appositi albi da tenersi nei modi
stabiliti dalla legge. Alla proposizione delle azioni per la risoluzione delle
controversie collettive è legittimata soltanto l’Associazione professionale
riconosciuta o, previa autorizzazione, le associazioni ad essa aderenti. In
mancanza, l’azione può essere proposta dal Pubblico Ministero, il cui ricorso
deve esser notificato alla Associazione professionale riconosciuta, che può
intervenire nel giudizio. Nelle controversie collettive promosse dalla
Associazione professionale, l’intervento del Pubblico Ministero è obbligatorio
a pena di nullità. Le decisioni della Magistratura del Lavoro in sede di
controversie collettive hanno la stessa efficacia delle norme collettive
emanate dalla organizzazione professionale riconosciuta. Tali decisioni non
possono essere impugnate se non per errori di procedura dinanzi alla Suprema
Corte di Cassazione.
Art. 142
Poiché l’ordinamento
giuridico della Repubblica fornisce tutti i mezzi per la composizione equa e
pacifica di ogni controversia collettiva nel campo del lavoro e della
produzione, lo sciopero, la serrata, l’inosservanza delle norme collettive ed
economiche e delle sentenze della Magistratura del Lavoro, e in genere tutti
gli altri atti di lotta sociale, sono puniti quali delitti contro l’economia
nazionale.
domenica 29 luglio 2012
PIERRE DRIEU LA ROCHELLE
“Noi siamo uomini
d’oggi. Siamo soli. Non abbiamo più dei. Non abbiamo più idee. Non crediamo né
a Gesù Cristo né a Marx. Bisogna che immediatamente, subito, in questo stesso
attimo, costruiamo la torre della nostra disperazione e del nostro orgoglio. Con
il sudore ed il sangue di tutte le classi dobbiamo costruire una patria come
non si è mai vista; compatta come un blocco d’acciaio, come una calamita. Tutta
la limatura d’Europa vi si aggregherà, per amore o per forza. E allora davanti
al blocco della nostra Europa, l’Asia, l’America e l’Africa diventeranno
polvere“.
«Morirò con gioia
selvaggia all’idea che Stalin sarà il padrone del mondo. Finalmente un padrone.
È bene che gli uomini abbiano un padrone il quale faccia loro sentire
l’onnipresenza feroce di Dio, l’inesorabile voce della legge» (27 dicembre
1942)
«Quello che mi piace
nel trionfo del comunismo è non solo la scomparsa di una borghesia detestabile
e ottusa, ma anche l’inquadramento del popolo e la rinascita dell’antico
dispotismo sacro, dell’aristocrazia assoluta, della teocrazia definitiva.
Scompariranno così tutte le assurdità del Rinascimento, della riforma, della
rivoluzione americana e francese. Si torna all’Asia; ne abbiamo bisogno» (25
aprile 1943)
«In mancanza del
fascismo (…) solo il comunismo può mettere veramente l’Uomo con le spalle al
muro costringendolo ad ammettere di nuovo, come non avveniva più dal Medioevo,
che ha dei Padroni. Stalin, più che Hitler, è l’espressione della legge
suprema» (2 settembre 1943)
Siamo tutti degni uno
dell’altro, tutti gli stessi azionisti della società industriale moderna del
capitale di miliardi di carta e di migliaia di ore di lavoro fastidioso e vano.
Che ciò sia a Kharkov, o a Patin, a Shanghai, o a Philadelphia, non è poi la
stessa cosa? Non esistono altro che i moderni, gente piena di affari, gente del
plusvalore o del salario, che non pensa che a questo e non discute che di
questo.
Non barate, come non
baro io. Condannatemi a morte. Non sono soltanto un francese, ma un europeo.
Anche voi lo siete, scientemente, o incoscientemente. Ma abbiamo giocato e io
ho perduto. Ergo, la morte.
Il suicidio è una
viltà, ma una viltà di cui non tutti hanno il coraggio.
Da ragazzo ho giurato
a me stesso di restare fedele alla mia giovinezza: un giorno ho cercato di
mantenere la parola.
Non ho creduto
affatto, dandomi la morte, di contraddire all’idea dell’immortalità che ho
sempre sentita viva dentro di me. Era proprio perchè credevo nell’immortalità
che mi precipitavo così vivamente verso la morte. Io professavo che ciò che si
chiama morte non è che una soglia al di là della quale la vita prosegue, o
perlomeno qualcosa di ciò che sia chiama vita, qualcosa che non ne è l’essenza.
Credevo, del resto, che possa continuare soltanto ciò che è cominciato; se
l’anima continua, è perchè non ha mai cessato di esistere… Certo, rigettavo
l’idea volgare della sopravvivenza di un’ anima individuale. Non pensavo
certamente di perdere, o di salvare la mia anima personale mettendo fine ai
miei giorni.
L’uomo esiste soltanto
nel combattimento… Vive soltanto se rischia la morte.
Oltre alla solitudine,
l’altra mia grande ricchezza è stata la malinconia. La gente non mi ha capito e
mi ha creduto uggioso, annoiato. Io stesso, a volte, non ho capito. Malinconia
infinita e deliziosa, fatta del rimpianto di ciò che non avevo perennemente
lenito dal piacere per ciò che avevo. Malinconia di essere poco attivo,
statico, che si risolveva nel piacere di essere lento e quasi immobile;
malinconia di non essere sposato che sfumava, dopo ogni sbandata, nel piacere
di non esserlo più; malinconia di vivere in un paese in decadenza che
trapassava nel piacere di gustare tanti residui della laidezza del tempo;
malinconia di non essere pittore, o poeta, che si risolveva nel piacere di fare
grandi scorpacciate di storia; malinconia di non essere un politico, che diventava
piacere di scrivere qualche pagina libera. Rimpiango solo di non essermi
accettato e riconosciuto per quello che ero, di aver fatto il processo alle mie
intenzioni. Tutto quel senso di inferiorità, di persecuzione e di colpa mi ha
tormentato e svilito agli occhi miei e altrui. Ma in fondo non posso veramente
rammaricarmene, perché senza quell’elemento di inquietudine e di amarezza sarei
stato esattamente ciò che potevo apparire ad alcuni: un abietto gaudente senza
inferiorità. Ho anche sfruttato il vantaggio rappresentato, per il sibarita,
dall’essere dolcemente mistico. Non mi sono privato della compagnia degli dei.
E ho visto Dio attraverso le cose. E talvolta, nonostante tutto, sono stato
visitato dalla compassione e dall’angoscia.
Io, scrivo sotto
l’ombra d’un ponte una frase anonima che nessuno leggerà mai. Ma è una frase
detta per sempre. Come per sempre questa piccola maschera di pietra è scolpita
in cima alla cattedrale, dove in quattro secoli è stata guardata distrattamente
due volte soltanto dagli operai addetti alle riparazioni. Più i dettagli dei
miei giorni, delle mie ore, dei miei minuti sono infimi e più mi ci aggrappo;
più mi dedico all’effimero e più l’effimero mi distacca… No, mi lega
all’eternità che cade nel mio petto goccia a goccia… No, è una goccia sospesa
per sempre e che non cade mai.
venerdì 20 luglio 2012
VOLONTà DI POTENZA
Il fronte ideologico
che nel secolo XX ha combattuto la pratica distruttiva della tecnica moderna,
ormai da qualche decennio non esiste più. La saldatura tra Usura e Umanitarismo
universalista, all’origine del pensiero unico, ha portato come conseguenza l’esaurirsi
di ogni prospettiva di opposizione al sistema di nichilismo integrale che ci
governa.
E dire che, almeno dai
tempi di Nietzsche, qui da noi, in Europa, si era giunti a una precoce diagnosi
circa le perversioni della modernità. Ed era sorto alla fine un movimento
complesso, in grado di generare anticorpi efficaci sotto tutti gli aspetti: da quello
filosofico a quello esistenziale, da quello politico a quello dei valori
sociali, immaginali e di legame popolare. Se la rivoluzione nietzscheana era
consistita soprattutto nella scoperta dello spirito rovinoso del Moderno, non
pochi erano stati coloro che, su quella scia, si erano gettati a recuperare
l’arcaico, per volgerlo in modernissimo strumento anti-moderno. Basta pensare
che, nel cuore della lotta al nichilismo, noi troviamo alcuni dei maggiori
teorici della rivolta militante, totalitaria e radicale: da Klages a Jünger, da
Bertram a Spengler a Baeumler fino a Heidegger… e secondo alcuni fino a
Rosenberg… ma possiamo metterci senz’altro anche Marinetti…
Si tratta di questo:
se il nichilismo moderno veicola un potere tecnologico privo d’anima e
pervertito, che non riconosce il superiore dall’inferiore e che conduce al
disumano, allora occorrerà sviluppare un nichilismo ancora maggiore, ancora più
oltranzista, ma di segno positivo, costruttivo e super-umano… al fondo del
quale si avrà il rovesciamento dei sottovalori
cristiano-umanitario-egualitaristi e il raddrizzamento dell’essere secondo la
parola originaria. Oltrepassamento, insomma, dell’uomo borghese pregno di
mediocrità, elaborazione dell’individuo differenziato, elevazione della
comunità eroica che domina la tecnica, restaura gli arcaismi delle gerarchie
del valore e instaura il potere che vige in natura. La “filosofia della crisi”
non fece, in effetti, che produrre una Lebensphilosophie, una filosofia
neopagana della vita e della rivendicazione del sacro che è nel bios.
Conosciamo, lungo
questa strada, qual’è stato il senso del cammino indicato da Heidegger. Il
filosofo arcaico che parlava i linguaggi del boscaiolo con la lama etimologica
di un Eraclito moderno lo disse più volte e ben chiaro: il nichilismo che sta
affogando la nostra civiltà non va tanto condannato, quanto lucidamente
diagnosticato. Esso, a ben guardare, nasconde la potenza di un progetto che va
nel senso profetizzato da Nietzsche: una nuova umanità, un nuovo tipo di uomo –
ma un uomo legato al valore e radicato al suo suolo – deve imporsi per far
compiere alla storia il suo ultimo balzo possibile. Per vedere ciò che
solitamente viene soltanto guardato, occorre un nuovissimo sguardo
pre-socratico. Non contro, ma oltre il nulla.
Un piccolo, ma
prezioso libro di Guillaume Faye, Per farla finita col nichilismo (Società
Editrice Barbarossa), giunge a proposito per rammentare a noi, sfibrati
testimoni dell’assurdo quotidiano, quanto profondo sia il bacino di infusione
in cui si formarono le più acuminate idee europee di rivolta contro il mondo
moderno. Heidegger, in questo senso, è stato un vertice.
Come si sa, il
pensatore della Foresta Nera giudicò che l’annunzio di Nietzsche sulla morte di
Dio concluse la metafisica occidentale, aprendo nuovi spazi al possibile.
Quello che si crea nel momento in cui irrompe la perdita dei valori è una
volontà sovrumanista di superamento e insieme di restaurazione. Dice Faye che
Heidegger «si impegna sui sentieri del dopo-nichilismo» proponendo di
«ristabilire un “vincolo etico” tra l’essere umano preso nella sua essenza e il
suo mondo, non più secondo i principi d’ordine universale». Infatti: l’etica
volontarista che dovrà agire sull’ignoto terreno della post-modernità sarà
rappresentata da forme vitali non assolute, ma relative. Heidegger condannò la
tirannia dell’umanitarismo nato dalla rottura giudeo-cristiana tra uomo e
natura. Certe dispotiche trascendenze, secondo lui, avevano teso trappole e
inganni, facendo dimenticare all’uomo la propria identità particolare.
Ecco perché, dovendo
agire in questa vita per questo uomo, la filosofia dell’avvenire pensa la
volontà di potenza come faccenda di questo mondo: la mano del Superuomo sulla
tecnica. Anziché rimanere schiavi di una tecnica profana e mercantile,
Heidegger propone di concepire un dominio dell’uomo cosciente e creatore sul
potere della materia. Come l’antico artigiano, l’artiere, l’homo faber, univano
la techne al logos e al mythos, così – pensa Heidegger – si dovrà riallacciare
l’arcaico nesso tra volontà e potenza.
Ma dove trovare l’uomo
giusto, la giusta volontà atta a scardinare il nichilismo debole del mondo
attuale? «Sarà – risponde Faye parafrasando Heidegger – dove risiede il più
alto nichilismo… ma sino al punto in cui si dà la possibilità di distruggerlo:
nel regno scientifico della potenza tecnica».
In questo
riappropriarsi della tecnica, ma in maniera oltranzista e secondo un progetto
di rovesciamento, si attua per altro il contromovimento precisato da Jünger al
tempo di Oltre la linea. Dato che «tra il caos e il niente c’è una decisione»,
esiste la possibilità concreta per una volontà di opposizione al disfattismo
dell’era presente, così da fare spazio di nuovo e finalmente all’antico nomos,
«inteso come tradizione».
Il nichilismo
“positivo” auspicato da Heidegger, quello in grado di riassestare il piano
inclinato della storia e di produrre la rinascita della grecità arcaica,
scaturirà non da una riflessione o da un buon proposito, ma da una lotta: «una
lotta è necessaria per decidere quale umanità sia capace dell’incondizionato
compimento del nichilismo». Solo una lotta per il padroneggiamento della
tecnica dal lato tradizionale «può ancora salvare la soggettività nella
superumanità», si legge in Oltrepassamento della metafisica. Non una qualunque
umanità, sottolinea inoltre Heidegger, sarà chiamata a «realizzare storicamente
il nichilismo incondizionato». Heidegger raccomandò sempre di non smarrire il
senso dell’appartenenza e del legame con la provenienza. Sue erano le invocazioni
al Bodenständigkeit, il radicamento al suolo, e al «rimanere nella protezione
entro ciò che ci è parente».
Faye vuole ricordarci
che Heidegger non fu contro il suo tempo per spirito reazionario. Il suo essere
“inattuale”, alla maniera di Nietzsche, si colloca nel futuro e nell’ipotesi
del superamento dell’umanità umanitaria, quale è stata costruita razionalmente
dal cristianesimo e poi ossificata dal mercantilismo liberale. Heidegger
propone la lotta e il rischio, ripensa il verso di Hölderlin: «Ma dove c’è il
pericolo, cresce anche ciò che salva», e conclude: «Noi guardiamo entro il
pericolo e scorgiamo il crescere di ciò che salva». Questa volontà di vivere
pericolosamente, questa volontà di volontà, lungi dall’essere fine a se stessa,
chiede strumenti per abbattere il dominio del tecno-mondialismo, gestito da chi
«trasforma la Terra in mercato mondiale… risolvendo così ogni ente in un affare
di calcolo», come è scritto in Sentieri interrotti. E li trova nella volontà di
costruire un progetto, innestato in quella che Faye chiama la terza età o età
apollinea: quando la volontà di potenza vede con chiarezza, in tutte le sue
sfumature, la possibilità di costruire l’ordine di una nuova Ellade. C’è, in
questo breve testo di Faye – vecchio di trent’anni, ma nuovo nel ridare alla
figura heideggeriana l’inquadratura sovrumanista che le compete – ciò che
Francesco Boco, nell’introduzione, definisce indiretto lascito di Giorgio
Locchi, un autore ben noto allo scrittore francese ma troppo poco, invece, alla
cultura italiana. Effettivamente, Faye non fa che mettere su Heidegger il
medesimo accento che questi mise su Nietzsche. In tutti i casi, si vide nella
volontà di potenza il cardine di un annuncio. E questo annuncio contiene una
sorta di chiamata all’azione, per vedere se la negatività del contemporaneo –
il nichilismo – non possa essere volta nella positività del futuribile. E la
negazione non possa diventare una grande affermazione.
Diabolico cesellatore
della parola, virtuoso assemblatore dei significati sottesi al variare dei
prefissi, Heidegger dice cose inequivoche, al di là di certi occultismi
lessicali, che Rosenberg ingenerosamente definì una volta come “cabalistici”.
La cerca heideggeriana
dell’Inizio nella filosofia eraclitèa della lotta, non era un vezzo di erudito,
ma un messaggio ideologico ben preciso. Per fare solo un esempio, la sua
esortazione a rientrare in possesso di «ciò che conduce l’alba del pensiero
entro il destino della terra occidentale», non è semplicemente un argomento
filosofico, ma un indicatore propriamente politico. La filosofia heideggeriana
è per lo più una filosofia politica, poiché tende sempre a impegnre l’uomo in
relazione alla comunità, al ricordo e alle radici. Cè infatti chi ha giudicato
il pensatore anche come un teorico della Führung e della Volksgemeinschaft. Lui
stesso come nuovo Platone, inserito in un disegno di rivoluzione culturale: la
scienza come bios e la società come comunità organica. Su tutto, la
riacquisizione della Grecia arcaica, della sua mistica dell’autoctonia e della
sua padronanza sulla techne creativa.
Non a caso, Heidegger
difese l’idea naturale della pluralità dei lignaggi, nel senso che ogni popolo
è contrassegnato dallo spirito, dalla storia e dalla natura. Secondo
Lacoue-Labarthe, addirittura, tutto il pensiero di Heidegger esprime una grande
coerenza ideale su questi temi, in un intreccio armonico di filosofia e di
politica che renderebbe il suo coinvolgimento con il Nazionalsocialismo, da
Heidegger per altro mai sottoposto ad autocritica, del tutto ovvio. Il nocciolo
della riflessione lo possiamo individuare nella categoria essere-nel-mondo,
usata da Heidegger per realizzare il superamento del soggettivismo liberale.
Come ha scritto Losurdo, è qui che l’ideologia del radicamento di Heidegger –
espressa sin da Essere e tempo – diventa un valore politico, cioè il legame
popolare dato una volta per sempre dalla storia e dalla natura. È un fatto che,
molto probabilmente, Heidegger intravide nel Nazionalsocialismo ciò che
cercava. Tra l’altro, la concezione che la scienza, come accadeva nell’antica
Grecia, non era un semplice bene culturale, ma «la più intima forza
determinante dell’intero esserci popolare-statale». Come dire: rinascita del
mito comunitario e protezione della famiglia contadina nel suo spazio
ancestrale, ma, al tempo stesso, finanziamento dei programmi missilistici.
* * *
Tratto da Linea del 26
settembre 2008.
mercoledì 11 luglio 2012
LA "MIGRAZIONE DORICA"
Il nucleo dei Veda
doveva già esistere, almeno come tradizione orale, quando il processo
d’indoeuropeizzazione dell’Europa tocca il suo apice, quello che prelude
immediatamente al sorgere del mondo greco-romano.
È la cosidetta
«migrazione dorica» ossia quel movimento di popoli del Nord – caratterizzati
dai loro Urnenfelder – che spinge in Grecia i Dori, avvia le migrazioni
italiche nella penisola appenninica e causa la irradiazione dei Celti in tutta
l’Europa dell’Ovest.
Incisioni rupestri di
Tanum, Bohuslän, Svezia.
La presenza
dell’incinerazione in questa seconda e risolutiva ondata indoeuropea ci
introduce a un nuovo avvenimento spirituale che si colloca sempre nel solco del
simbolismo solare e della «negazione della Madre».
L’incinerazione ha
antiche radici nell’Europa-Centrale, ma solo alla fine dell’età del bronzo
raggiunge quella espansione e quella compattezza che ci metton di fronte a una
nuova visione della vita. È un rituale tipicamente uranico, orientato verso il
cielo e la luce. La purificazione dello spirito dal peso della terra e la sua
liberazione in pura sostanza di fuoco trovano un’eco precisa in una nuova
fioritura del simbolismo celeste.
Il cerchio solare, la
croce celtica, il disco puntato, la ruota raggiata traversano tutta l’Europa
tra quei due grandi centri di riferimento che sono le incisioni rupestri del
Bohuslän e quelle della Valcamonica. Allo stesso modo, dalla Svezia all’Italia
– partendo da un focolare mitteleuropeo – fa la sua comparsa il motivo del
cigno astrale, destinato a perpetuarsi fino alla leggenda di Lohengrin e del
Graal. Il motivo dei due cigni affiancati che tirano la nave del sole, le
protome di cigno stilizzate a 5, sono una delle più caratteristiche
manifestazioni della cultura dei campi d’urne e ne accompagnano l’espansione
giù giù, fin nel Lazio.
Il carro solare –
questa volta trainato da un cavallo – è emerso in una palude della Danimarca a
confermare la veridicità del mito ellenico dell’Apollo dimorante nel paese degli
Iperborei.
Significativamente,
nelle incisioni rupestri della Svezia e della Valcamonica, accanto al
moltiplicarsi degli standars solari e di divinità maschili, vi è una
rimarchevole assenza delle figurine femminili:
«Manca la fanciulla,
così come la madre e la partoriente; manca l’immagine del piccolo animale che
sugge il latte, immortalato sia a Creta che in Egitto in indimenticabili
figurazioni. È un’anima radicalmente diversa quella che si esprime in queste
incisioni rupestri nordiche e italiche. All’antico mondo mediterraneo, col suo
naturalismo femminile, si contrappone una cultura tipicamente virile. Essa si
apre una via verso il Sud» (Altheim, Italien und Rom, Amsterdam und Leipzig
1940, S. 25-26).
Un’assenza che ha un
preciso valore indicativo circa il contenuto spirituale della «migrazione
dorica». È un contenuto che verrà presto alla luce sia nel pantheon olimpico
che nello stile di vita asciutto e severo del doricismo e della romanità.
Intorno al 950 circa,
la grande migrazione è finita: nel Peloponneso ci sono ormai i Dori e sui Colli
Albani i Latini. L’ethnos italico ed ellenico, saturo di elementi nordici, si
prepara alla grande stagione della civiltà classica. Dalla Grecia all’Italia si
diffonde una nuova costellazione simbolica la cui stella polare è la svastica –
ripetuta centinaia di volte sia sui vasi del cosidetto « periodo geometrico »,
sia sulle urne a capanna del Lazio.
La preistoria è
finita. Sull’Ellade albeggia l’aurora omerica. Significativamente, quando il
primo popolo indoeuropeo d’Europa incomincia a parlare, il suo messaggio è
quello della religione olimpica.
Di duemilacinquecento
anni di preistoria religiosa europea, una parola ci è rimasta: *dyeus.
È il nome della
Divinità: Juppiter – da Dius-pater (gen. Iovis, dat. Iovii) tra i Latini; Zeus
(gen. Diòs) tra gli Elleni; Dyaus in India; Tyr o Ziu nel mondo germanico. È il
nome del dio supremo e – al tempo stesso – quello del cielo divino in tutta la
sua luce e tutto il suo splendore.
È questa una
importante scelta spirituale: gli Indoeuropei, la razza nordica, gli europei
sono il popolo di *dyeus, il popolo della luce. Il popolo destinato a portare
il lògos, la legge, l’ordine, la misura. Il popolo che ha divinificato il Cielo
di fronte alla Terra, il Giorno di fronte alla Notte, la razza olimpica per
eccellenza.
È una scelta destinata
a segnare un orientamento di millenni: l’ordine, nel mondo, è opera dell’uomo
bianco.
Ma il Giorno, *dyeus,
è – al tempo stesso – il Padre. Juppiter, Zeus patér, Dyaus pitàr sono termini
che si pronunciano l’uno nell’altro.
L’ordine della luce è
un ordine maschile. Non l’ordine della Madre – confondente tutto e tutti in una
pacifica promiscuità, e che sta al di qua della civiltà come noi la concepiamo:
«Dal principio della
maternità generatrice scaturisce il senso della universale fratellanza di tutti
gli esseri, senso che declina e non trova più risuonanze con l’avvento del
principio della paternità. La famiglia incentrata nel patriarcato è conchiusa
come un organismo individuo, quella matriarcale conserva invece quel carattere
tipicamente universalistico che si ritrova nei primordi. Da esso procede quel
principio di universale eguaglianza e libertà, che noi spesso ritroviamo come
tratto fondamentale dei popoli ginecocratici, insieme alla filoxenìa (simpatia
per gli stranieri) e ad una decisa insofferenza per ogni specie di limiti e
restrinzioni; infine, non diversa origine ha l’esaltazione del sentimento d’una
generale parentela e di una simpatia, synpàtheia – che non conosce limiti… »
(Bachofen, Le madri e la virilità olimpica, Milano 1949, pg. 34-35).
Il genio spirituale
indoeuropeo – quale si manifesta fin nei primordi, sta appunto nel rifiuto di
questa fratellanza promiscua del regno della Madre. Contro la promiscuità
stanno la Famiglia e lo Stato, contro la fratellanza universale e bastarda la
stirpe e la razza.
Contro il livellamento
sta l’Ordine – come principio di differenziazione luminoso. L’Ordine solare del
giorno, l’ordine di *dyeus, quale si trova simboleggiato nella svastica,
primordiale simbolo della luce .
Adriano Romualdi
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