mercoledì 9 novembre 2011

IN NOME DI DIO E DEL SERBATOIO PIENO. DINAMICA DI UN CONFLITTO GLOBALE

Mentre i quotidiani dello stato sionista riportavano ancora le dichiarazioni di Shimon Peres sull’ormai prossimo scatenarsi di un intervento aereo contro l’Iran, il Guardian forniva una versione completamente diversa.
Secondo il tabloid di Londra Barak Obama avrebbe emesso un ordine esecutivo per un attacco aereo-navale contro gli ayatollah, sollecitando la Gran Bretagna a fare altrettanto, convinto che Londra riuscirà a tirarsi dietro l’intera l’Alleanza Atlantica anche di fronte alle perplessità da parte di qualche Paese membro, in particolare di Francia e Italia.
Il giorno 8 il ministro della difesa Ehud Barak ha tuttavia smentito platealmente il vecchio arnese dell’Internazionale Socialista Peres tutto culo e camicia con l’“interventista” Napolitano.
Il ministro della Difesa francese Alain Juppè, nel frattempo, nonostante le critiche personalmente espresse dal presidente Sarkozy al presidente Obama sulla fuga in avanti israeliana, ha suggerito ai partners europei di varare sanzioni economiche e diplomatiche ancora più dure contro l’Iran con la scusa di “stroncare le velleità nucleari” di Teheran.
“I motori dei jets con la stella di david sono accesi” aveva subito scritto il 7 novembre Fabio Sciuto de “La Repubblica”, dopo che il 6 se n’era occupato Daniele Mastrogiacomo raccontando le solite balle contro Teheran.
A Vienna – scriveva - l’ AIEA farà uscire il 9 di questo mese le prove dell’ormai raggiunto obbiettivo dall’ Iran di dotarsi di armamento atomico. Un dossier destinato a rivelarsi nei contenuti, una patacca priva di qualsiasi prova sull’esistenza di una “pistola fumante”.
Sul quotidiano della Finegil di De Benedetti compariva a corredo dell’articolo un terzo di pagina 18 con cartine sulle (impossibili) direttrici di attacco dei jets di “Israele” con sorvoli di Paesi come Giordania, Arabia Saudita, Quwait o Iraq a sud e Siria e Turchia a nord, collage finalizzato a disinformare i lettori, a far obliare l’armamento atomico di “Israele” (che è invece “reale” e non certo ipotetico) e a omettere dalle forze in campo il potenziale militare della Siria di Bashar al Assad per l’alleanza sottoscritta con Iran.

Siria.
Deliberatamente ignorate
le potenzialità del
suo dispositivo militare

Già, la Siria: uno Stato nazionale arabo che la propaganda in circolazione nella Repubblica delle Banane cerca da mesi di far apparire debole, facilmente aggredibile dall’esterno, oltre che scosso da una violenta ondata di proteste sociali e confessionali. In verità uno Stato che possiede forze di sicurezza, militari e armamenti di alto livello tecnologico in quantità adeguate a far fronte a potenziali nemici esterni e un ampio sostegno popolare, non ultimo quello degli oltre 500.00o rifugiati palestinesi che si riconoscono nelle posizioni di Khaled Mischal e dei capi della diaspora palestinese contraria ad ogni trattativa con “Israele”.
Per la prima volta dal 1967 la Siria è infatti in grado di reggere, da sola, un confronto con lo stato sionista e colpire in profondità obbiettivi militari sull’intero territorio della Palestina occupata.
Particolare di non poco conto regolarmente omesso da giornalisti, esperti ed analisti italioti a libro paga di maggioranza e “opposizione” (e più spesso di quanto si possa immaginare della Nato…) che porterebbe in superficie un sostanziale riequilibrio di equipaggiamento militare convenzionale con lo stato sionista, a terra e sul mare, con il grosso vantaggio di predisposizione al combattimento. La stessa persistente superiorità aerea di “Israele” ormai peraltro controbilanciata da un sistema di difesa terra-aria che ha fatto passi da gigante anche grazie all’adozione di nuovissime batterie missili di fornitura russa. Pantsyr S 1, Sa 12 o S 300V-Giant, Thor M 1-2, Buk M 2, Sa 3 Goa e S 125 (upgrade ) Pechora.
Affermazioni, le nostre, che mi rendo conto possano apparire forzate a chi non ha confidenza con la materia. Ci sarà modo di specificare via, via, le caratteristiche tecnico-militari della difesa aerea e anticruise, terrestre e antinave di Damasco che va ad inquadrarsi in un assetto del Vicino Oriente in cui l’isolamento geopolitico dello stato sionista è ormai pressoché totale.
La recente fonitura di 176 Yakhont terra mare e aria-mare con Su 27 mette in condizioni la Siria di poter infliggere perdite pesantissime a qualunque formazione navale dell’ Occidente in un raggio di 300 km, seppur dotate di sistema radar Aegis.
Tornando all’Aiea, il documento presentato dal giapponese Yukìa Amano ometterà, è scontato, di fornire prove certe e definitive da esibire alla cosiddetta “comunità internazionale” sul programma atomico - per uso civile e non militare… - di Teheran.
Il testo presentato alla stampa dal capo dell’Agenzia dell’ Onu si presterà soltanto a dare fiato alle trombe della demonizzazione di Teheran e a rimettere in moto al Consiglio di Sicurezza le iniziative di Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia per ottenere un altro giro di “sanzioni” contro l’ Iran finalizzate ad indebolire ulteriormente i suoi equilibri finanziari e commerciali che nelle intenzioni dell’Amministrazione Obama e dei suoi alleati potrebbero generare la destabilizzazione degli equilibri sociali dell’ Iran e un ricambio ai vertici di comando del Paese.
La stessa tattica che Usa ed Europa stanno sviluppando contro la Siria al di fuori e al di sopra delle eventuali risoluzioni di un Consiglio di Sicurezza dell’ Onu dove potrebbe mancare il veto di Russia e Cina (il recente ingresso di Mosca nel Wto dopo il via libera accordatole dalla Georgia (!) lascia un ampio margine di dubbio sulla continuità della posizione di Mosca a difesa di Damasco). La stessa Pechino verrà allettata dal Dipartimento di Stato con la promessa della fine dell’influenza Usa nel Tibet e a Formosa.
C’è solo da augurarsi che la sete energetica dell’ Occidente sia stata già soddisfatta dal via libera del rappresentante di Medvedev, Margelov a Usa e Nato con l’aggressione alla Jamahirya libica. Posizione che ha messo in grosse difficoltà, anche politiche, la Russia nell’intero Vicino Oriente ma ha favorito Gazprom di cui l’inquilino del Cremlino, fino a marzo 2012, è ex ceo.

L’Occidente minaccia l’Iran
e Israele si candida al ponte di comando

Andata a monte la bufala dei due narcos messicani in contatto con i pasdaran per uccidere a Washington l’ambasciatore saudita, una storiella-pretesto finita dove doveva finire, ad organizzare un’altra flagrante provocazione ci penserà dal Palazzo di Vetro l’ allineatissima (all’Aipac) negro-afro-americana Susan Rice.
Il presidente di “Israele” avrebbe inoltre rilasciato al quotidiano HaYom - dopo averlo fatto 24 ore prima con Haaretz - che i tempi per l’opzione diplomatica della “comunità internazionale” sono ormai agli sgoccioli e non rimane che il ricorso alla forza per fermare l’ Iran definito una “minaccia incombente contro il mondo libero”.
Favorevoli al semaforo verde contro Teheran sarebbero Netanyahu e Lieberman, contrari altri componenti del “gabinetto”. I due si sentono già, infatti, i piloti – come affermato dall’embedded Sciuto – di una delle azioni più audaci dell’intera storia di “Israele”.
Audace? Propendiamo, se s’avesse a fare, per l’idea di una missione suicida, senza ritorno, un secondo dopo aver superato il confine delle acque territoriali dell’ Iran. Anche ammesso e non concesso che i piloti della Hel Ha’avir possano “confondere” le riprese satellitari fin dal momento del rullaggio nelle basi del Neghev, eludere la tracciatura in volo dei radar degli Stati sorvolati senza un briciolo di profilo stealth, superare il contrasto della caccia dei Paesi sorvolati, con degli F 15 I e F 16 I (sufa) costretti a navigare a quote e velocità ridotte di crociera dal peso dei serbatoi supplementari e dal carico bellico per evitare un eccessivo consumo di carburante. Fattore che peraltro, accresce inesorabilmente lo stress psicofisico per superare distanze varianti 1.500 ai 1.750 km.
Condizioni che rendono totalmente impossibile (beninteso, ove mancasse il coinvolgimento degli Usa) sia i rifornimenti aerei che l’’intelligence necessaria ad arrivare in prossimità delle acque territoriali dell’Iran prima di essere identificati e quindi completamenti distrutti in volo.
Chissà se a Gerusalemme sanno che da qui in poi sulle rotte lineari o curve di avvicinamento della Hell Ha’Avir ai presunti target nucleari ci sono centinaia di missili antiaerei che aspettano di fare un bel boccone di 20-25 F 15 e 100 F 16. Bombardieri di David che, peraltro, dovrebbero vedersela prima con almeno 3-4 decine di potenti cacciabombardieri F 14 che gli scaricherebbero contro 180-240 micidiali Aim 54 Phoenix volando a 200 km di distanza all’interno del territorio iraniano. Senza contare i Mig 29, Mig 31, F 1 e F 4, capaci di indirizzare altrettanto devastanti Sparrow verso i velivoli aggressori.
A Teheran un attacco di Tel Aviv fa ridere di gusto Ahmadinejad e il suo Stato Maggiore compreso i Pasdaran che hanno l’intero massiccio dispositivo missilistico strategico dell’ Iran puntato sia su “Israele” che su tutte le basi Usa negli Emirati e nelle Monarchie del Golfo Persico. Quando fosse anche solo tentato, ha affermato, andandoci giù duro, Ali’ Khamenei, “Israele” otterrebbe come unico risultato una risposta capace di portare alla scomparsa dello stato sionista.
Ecco perché è dal 2001 che in Occidente di “guerra all’Iran” se ne parla e riparla senza che poi succeda mai un bel fico secco.
All’ intera aviazione con la stella di Davide nel 2006 ci sono voluti due interi mesi per creare dei problemi, anche seri, alle infrastrutture di un Libano totalmente privo di contraerea, decollando e atterrando da aeroporti a 150 km dalla linea blu tracciata in prossimità dei confini sud del Libano.
Parole al vento quelle del capo supremo iraniano?

Il precedente: dove è finito
Parte dell’arsenale
nucleare exUrss?

Chi conosce cosa sia realmente successo nei mesi e negli anni immediatamente successivi all’implosione della C.S.S.I. con Eltsin al Cremlino, sa perfettamente che l’ ex Unione Sovietica manteneva nel solo territorio del Kazakistan, un paese vasto quanto l’intera Europa, più di 420 testate atomiche (A) e termonucleari (H), in Ucraina oltre 350, in Bielorussia 130-150. Compreso l’incerto il destino di decine di “valigette atomiche”.
La contabilità di ritorno in Russia ha lasciato molto a desiderare anche perché la messa in sicurezza di uranio e plutonio è un procedimento tecnicamente complesso e costosissimo per ottenere un smaltimento efficace con il minimo rischio ambientale.
La Russia in piena crisi politica e finanziaria chiuse un occhio sulle “restituzioni” affidando la parziale distruzione sia dei vettori di lancio che delle cariche nucleari agli stessi Paesi dell’ex Unione Sovietica che le detenevano in bunker.
Al Pentagono scattò l’allarme rosso sul “rischio proliferazione” (passaggio sia di tecnologia militare che di materiale nucleare a Stati vicini).
A Washington non si trovò di meglio che addossare la responsabilità della “porosità dei confini di Stato” al Gru (il servizio segreto militare russo), un’organizzazione notoriamente ostile al “nuovo corso” imboccato dall’ubriaco fradicio del Cremlino e a Usa e Nato.
Leonid Kucma, primo ministro dell’Ucraina dall’ottobre 1992 al settembre 1993, poi eletto presidente dal 1994, nel 2005 venne accusato da Grigory Omelchenko, ex capo della commissione antimafia del parlamento di Kiev di aver favorito i contatti tra l’ SBU ( polizia segreta) e il Gru per il trasporto in Iran di cruise missile Kh 55 da 3.000 km di gittata e un errore a bersaglio di 20 metri dotati (ciascuno) di una carica termonucleare miniaturizzata da 200 kt, circa 22 volte più potente della “Little Boy” sganciata su Hiroshima. Dei 18 Kh 55 dodici sarebbero rimasti in Iran e sei avrebbero preso il volo da Teheran per la Cina.
Non sarebbe stato l’unico materiale di decisiva importanza strategica contrabbandato da Kiev nel Paese degli ayatollah. Il caso dell’ Esm Kolcugha rimane emblematico.
Ad elencarlo per intero la faremmo piuttosto lunga. Accenneremo solo a qualche “pezzo” di quelli più temuti dalla controparte euro-atlantica.
A quanto si sostiene, sia la Bielorussia, sia l’Ucraina avrebbero fornito all’ Iran un numero imprecisato di micidiali missili antiaerei e antimissile S 300 pm 1-2 da 75 a 200 km di portata compreso i radar di scoperta e di tiro che Teheran ha mostrato agli ambasciatori e agli addetti militari accreditati a Teheran in canestri di elevazione di 4 nella parata del 2010-2011 montati su trasporti gommati pesanti.

L’Iran, prima potenza
militare del Vicino oriente

L’Iran progredisce (autonomamente?) con una sorprendente capacità tecnologica in tutti i settori della difesa terrestre, aerea e navale tanto da essere accreditata come prima potenza in materiale bellico convenzionale dell’intero Vicino Oriente anche perché possiede e può dispiegare un complesso di più di 1.000.000 di uomini sotto costante addestramento militare escluse (!) le 31 divisioni di pasdaran, una per provincia.
Dopo il rifiuto del presidente Medvedev nel 2010 di dare attuazione al contratto di vendita stipulato con Teheran nel 2007 con Putin per la fornitura di S 300 su pressione di Stati Uniti ed Israele, l’Iran si è permesso di definire ampiamente superato questo sofisticatissimo sistema antiaereo-antimissile che ancora oggi costituisce l’ossatura di difesa dei cieli della Russia con la messa a punto del “Bavar 373”.
Un missile a lungo raggio anche con elevate capacità antiaeree, antimissile e anticrociera capace di interdire, a produzione avviata su larga scala, lo spazio aereo dell’ Iran a qualsiasi formazione di cacciabombardieri e bombardieri, anche stealth, degli stessi Stati Uniti d’America.
Si può affermare con altrettanta sicurezza che in caso di guerra l’ Iran sarebbe in condizione di annientare qualsiasi gruppo navale nemico che intendesse entrare nelle sue acque territoriali nel Golfo Persico dallo Stretto di Ormuz.
La strategia dell’ Iran prevede di restituire agli Usa un danno militare pari a quello eventualmente sofferto anche se rimangono forti incertezze su come si valuti e su quale terreno possa materializzarsi.
Si consiglia caldamente a Usa, Nato e “Israele” di lasciare le cose al punto in cui stanno. Di non innescare la miccia di una catastrofe nucleare mondiale.

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