giovedì 30 dicembre 2010

MONTICCHIELLO , SIENA 19 Dicembre 2010 -IL RITORNO AL RIGORE- CONFEDERATIO COMUNITA' DI POPOLO


 



Confederare una Comunita’ di Pensiero legata da un percorso Ideale e Spirituale comune , in una realta’ “Normale” puo’ sembrare una ovvieta’ , un passo tattico utile alla sopravvivenza tangibile della Comunita’ stessa , un atto dovuto di Fedelta a chi ci ha Onorevolmente preceduto e infine la creazione di uno Strumento prezioso.
Ma siamo in Italia …cioe’ in una realta’ Meravigliosa e Sfortunata dove , l’elemento umano che ci appartiene e’ pur sempre parte di un Popolo in preda ad un marasma intimo e profondo dalle pareti di gomma .
Quasi tre quarti di secolo di una pseudo-liberta’ plastificata, di una oppressione culturale ed economica formidabile e di una deliberata deculturizzazione di massa, hanno provocato danni gravi dove il tessuto era piu’ debole . Il Popolo ha scelto l’oblio , cioe’ un sonno tiepido fatto di poco , quasi di nulla che lo protegga dalla coscienza di una condizione offensiva , umiliante .
Non si puo’ maledire un Popolo per le sue paure , per le sue debolezze , per le sue insicurezze . Si puo’ maledire invece e lottare contro I responsabili del guasto attraverso I nostri uomini migliori e con grande tenacia e perseveranza , contribuire al risveglio del Popolo perche’ possa riappropriarsi del suo destino.
E’ in questa logica tattica complessa nella propria sorprendente linearita’,che alcune forze attive sopratutto del bacino Social Nazionale hanno deciso di Confederarsi perche’ l’azione di ogni singola identita’ possa confluire dietro uno Scudo ideale all’abbrivio del quale, sviluppare idée , strategie di lotta , evoluzioni fisiologiche di Pensiero , iniziative che abbiano ancora una volta l’odore della strada e che colpiscano il Palazzo nella architettura stessa delle sue fondamenta.

In questi giorni , dove il conteggio delle forze rappresenta un passo inevitabile perche’ CONFEDERATIO possa autonomamente godere del respiro indispensabile, si registrano due dati fondamentali di contrasto:
Il primo e’ l’esistenza di una sacca all’interno della quale sopravvive un “Neofascismo” precocemente incanutito e incapace di comprendere un nuovo strumento tattico.
Il secondo e’ il pulsare flebile di un Gotha intellettuale che in una foga “Rinnovatrice” sferra un attacco colpevole e decerebrato contro Dottrine portanti del nostro retaggio e gli uomini anche solo sospettati di mantenerle in vita .

In entrambi I casi, si tratta e di fatto di realta’ Controrivoluzionarie , cioe’ colpevoli di un rallentamento della azione che mira a ridisegnare la mappa della Nazione in termini Politici , Sociali, Economici e Strategici .
Chiaramente , CONFEDERATIO come Confederazione di Popolo non confronta solo due realta’ negative e sabotatrici ma anche, alcune branchie di disinformazione , di fragilita’ culturale , di timori da corridoio . Insomma , non combattiamo solo il Sistema immorale al potere, ma tra le altre cose ,il risultato del suo accuratissimo lavoro di disintegrazione delle volonta’ e malasuguratamente alcune a noi piu’ prossime in termini di grandi linee di Pensiero .


Crediamo con un ottimismo dinamico che ci appartiene, che si tratti essenzialmente di illustrare le funzioni di una Forma Confederativa in termini generali per poi esaustivamente indicare quelle che riguardano CONFEDERATIO nello specifico.

Chi si attende gerarchie Verticali sara’ deluso. Chi sospetta I soliti protagonismi rimarra’ sopreso. L’unico modo perche’ una CONFEDERAZIONE DI POPOLO possa funzionare all’interno di quella che erroneamente e’ stata per decenni bollata come “Destra Radicale’ e’ la sapiente gestione di funzioni ORGANICHE.

CONFEDERATIO e ribadiamo ancora una volta , e’ uno STRUMENTO , ideato perche’ Associazioni , Laboratori Politici, Circoli , Sigle , Individui , Organi di Stampa , possano riversare un patrimonio di AZIONE E PENSIERO al punto di attriburgli la forza indispensabile ad una efficace spinta unitaria e disgregatrice verso I gangli del Regime.
Questo , in base ad un Patto che abbiamo voluto denominare D’ONORE, tra uomini che al termine, attribuiscono un valore Comunitario e Individuale assoluto , gli stessi che hanno sigillato una alleanza dalla solida e inequivocabile piattaforma di chiari punti programmatici ad alta condivisibilita’.

Siamo certi che con il fluire progressivo di dati , di schemi organizzativi , di iniziative attivistiche , il principio fondante di CONFEDERATIO affiorera’ oltre il limite esile delle perplessita’ delle diatribe , delle ambizioni personali, per rivelarsi nella sua essenza non solo tattica ma sopratutto Ideale e nella sua Onesta’ oltre ogni dubbio .

Claudio Modola
                                  Portavoce


martedì 28 dicembre 2010

Nicola Bombacci, il comunista “vate” della Socializzazione

A Genova, nella dominante piazza De Ferrari, allorché il 2° conflitto mondiale in Europa volgeva ormai alla tragica conclusione deliberata a Yalta da J. Stalin, F. D. Roosvelt e W. Churchill che imponeva al “vecchio Continente” la sua assoggettazione alla della plutocrazia anglo-statunitense e al servaggio delle mistificazioni del marxismo (quindi, la sottomissione alle false ordalie che vollero l’eccidio di Giulino di Mezz’egra e di Dongo sino all’autentico “male assoluto” di piazzale Loreto a Milano) per abbattere il più avanzato progetto d’equilibrio civile e sociale approntato dal Fascismo a tutela dei diritti dell’Uomo anche mediante l’effettiva collaborazione tra gli imprenditori e ogni altra categoria di produttori, il 15 marzo 1945 quell’eccezionale oratore vivificato da Nicola Bombacci illustrò ad una folla di oltre tremila persone (una moltitudine – in quei momenti tormentati dai bombardamenti nemici – composta principalmente dagli operai delle industrie navali del principale porto dell’Italia settentrionale insieme a quelli delle fabbriche siderurgiche e meccaniche delle delegazioni popolari di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera) il significato d’intensa volontà di salvaguardia per ogni lavoratore rappresentato – nell’ambito della legislatura del Lavoro – dal Decreto Legge sulla Socializzazione delle imprese, emanato dal governo della Repubblica Sociale Italiana il 12 febbraio 1944, che il ministro dell’Economia corporativa ing. AngeloTarchi, coadiuvato dal sottosegretario Prof. Manlio Sargenti, s’impegnarono a renderla ovunque operante affinché le maestranze del territorio nazionale, non ancora invaso dalle armate multicolore degli USA e d’Albione, potessero beneficiare nei rispettivi redditi occupazionali per tale provvedimento e, nel contempo, constatare la negatività della demagogia usata dai massoni e dagli altri opportunisti della burocrazia (i peggiori versipelle, sempre in auge per il loro servilismo!) i quali – prima del 25 luglio 1943 – congelarono l’istituzione corporativa in una cronica condizione d’inefficienza e le funzioni della confederazione dei Sindacati di categoria in attività secondarie, di deprecabile rabberciamento.







Nicola Bombacci, affascinante nella sua eloquenza, quel 15 marzo si rivolse ai produttori genovesi dicendo, tra l’altro: “Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre…”.




Poi aggiunse: “Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione (quella dell’Ottobre rosso del 1917 in Russia), credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno…” e, spiegando i motivi della sua adesione alla RSI, aggiunse: “Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…”.




Nel contempo, tra lo stupore di tutti per quel linguaggio senza indugi, l’operaio metallurgico Paolo Carretta – presente col pubblico – salì spontaneamente sul palco e volle testimoniare della sua esperienza drammatica di comunista esule nell’URSS staliniana, fatto che consentì a Bombacci di esortare i liguri al riscatto dell’Onore nazionale dopo il tradimento dei Savoia, di Badoglio e dei massoni, ma anche tutti a partecipare attivamente alla formazione dei consigli di gestione nelle aziende perché si trattava di “Conquiste che, comunque vada, non devono andare perdute” onde galvanizzare la socializzazione in fase di compimento, dato che “Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà esaminato anche il problema della terra e della casa perché, tutti i lavoratori devono possedere la loro terra e la loro casa…”.




E’ lo scrittore Arrigo Petacco che, nel volume “Il Comunista in camicia nera/ N. Bombacci tra Lenin e Mussolini” (ediz. Mondadori, 1996), evidenzia – a conferma di quanto segnalarono il 16.3.1945 i cronisti dei quotidiani genovesi “Il Secolo XIX” e “Il Lavoro” – come quello fu di tale romagnolo (nacque a Civitella – provincia di Forlì – il 24.10.1879) il migliore discorso pronunciato durante la RSI dinanzi alle maestranze delle più importanti fabbriche di Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto ecc., tra le quali le aziende editoriali Mondadori, Garzanti, “Corriere della Sera”, “La Stampa”, non dimenticando che in quei momenti il corso della socializzazione pervenne alla FIAT, alla Venchi Unica e alla “Gazzetta del Popolo”. Inoltre, alla Dalmine – nonostante le incalzanti minacce dei comunisti tra le maestranze – gli operai votarono per il consiglio di gestione il 7 aprile e, dei 3253 elettori, vi furono 2272 votanti, con 1765 schede valide, 957 nulle e 531 di astenuti.




Al decreto legislativo in materia (quello del 12.2.1944) non furono risparmiate le critiche di sindacalisti, di economisti e di imprenditori, ma in merito il Prof Sargenti precisò che il provvedimento in questione – così vigorosamente sostenuto da Bombacci e da Carlo Silvestri – fu una “legge-quadro”, destinata a mutare ogni perfezionamento necessario, specie in attesa che la Carta Costituzionale della RSI (elaborata dal ministro Carlo Alberto Bigini) venisse sottoposta a referendum popolare, consultazione che, garantita dallo stesso Mussolini, doveva venire effettuata non appena si sarebbe concluso il conflitto imperversante in Italia unitamente alla “guerra civile”, fomentata, finanziata e armata dagli invasori anglo-statunitensi e della plutocrazia.




Nel dopoguerra, successivamente all’assassinio di Nicola Bombacci, avvenuto sul lungo lago lariano di Dongo il 28 aprile 1945 assieme a quello di altre quattordici personalità della RSI e del Partito Fascista Repubblicano che avevano seguito Mussolini (trucidato a Giulino di Mezzagra con Claretta Setacci) nel tragico itinerario – come lo indicò con precisione Giorgio Pini – verso il “ridotto alpino” della Valtellina, è stato lo studioso Salvatore Francia che nell’opera “L’altro volto della Repubblica Sociale Italiana” (ediz. Barbarossa, 1988) documenta l’equilibrio e l’azione di sviluppo vantaggioso della produzione maturato già all’inizio dell’applicazione del D.L. del febb. 1944, dimostrando altresì con l’intervista in extremis concessa dal capo della RSI a G.G. Cabella nel palazzo della Prefettura (20.4.1945) che il Duce, con tale colloquio-testamento, indicava l’esigenza urgente di un “piano di socializzazione mondiale” rammentando nel contempo con quanta fiducia il rivoluzionario Civitella (definito dopo la sollevazione bolscevica nella Russia zarista il “Lenin di Romagna”) credeva in tale realizzazione politica ed economica per la pace sulla Terra. Lo confermò anche Giovanni Dolfin – segretario particolare del capo della RSI a Gargnano – nello scritto “Con Mussolini nella tragedia” (ediz. Garzanti, 1949 – pag. 118) indicando che, alla vigilia del 1° congresso del PFR a Verona nel novembre 1943, l’uomo dei Predappio gli specificò: “Bombacci, che vive giorni di passione, è in prima linea tra coloro che si battono per una vera rivoluzione sociale”. E lo fece con l’identico ardimento morale che distinse il “Nicolino” nel 1910 a dirigere la sezione del Partito Socialista a Cesena e la pubblicazione del periodico “Il Cuneo”, poi con l’incarico di segretario della Camera del Lavoro a Modena e sino, molto più in su, al mandato di guida nazionale del PSI, nonché – dopo la scissione da quest’ultimo al congresso di Livorno nel gennaio 1921 – alla fondazione del Partito Comunista d’Italia e alla sua guida, da cui però (lo dettaglia sua nipote Annamaria Bombacci nell’opuscolo “Nicola Bombacci rivoluzionario, 1919 – 1921″, ediz. Santerno, Imola, 1983) sarà escluso dai “compagni” poco compagni. Ciò non impedirà a Nicolino di perfezionare la sua collaborazione con Vladimir Illjc Uljanov, l’autentico Lenin creatore dell’URSS, che adottando la NEP (Novaja Ekonomiceskaja Politica, cioè la dorma di “nuova politica economica”) a partire dal 1923 favorì un certo liberalismo di mercato soprattutto con il governo italiano di Mussolini e di cui il vecchio amico di “Benitochka” (come Angelica Balabanoff e Anna Kuliscioff, first Lady del socialismo italiano, chiamavano l’uomo di Predappio) fruì in collaborazione col delegato sovietico Vaclav Vorosvskij, a riallacciare quei rapporti interrottisi dopo la promozione mussoliniana del movimento fascista.




D’altronde già l’11 novembre del 1922, alla delegazione di comunisti italiani – guidata da Bombacci – in vista al Kremlino moscovita per un incontro col capo primogenito del bolscevismo, Lenin aveva dichiarato: “In Italia c’era un solo socialista capace di fare la rivoluzione: Benito Mussolini! Ebbene, voi lo avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo!”. L’ego vittorioso della “Marcia su Roma” del movimento fascista – avvenuto qualche giorno prima – aveva scatenato in Lenin il compatimento e la commiserazione per quei “Compagni” d’Italia soltanto illusi di poter captare gli adepti socialisti fanaticamente indaffarati nelle scissioni, ma allo scuro di quel movimento politico destinato a promuovere l’intero avvenire della nazione protesa sul Mediterraneo.




Fu a Montecitorio, il 30 novembre 1923, che l’On. Bombacci – infischiandosi degli umori di circostanza dei deputati comunisti – perorò il successo dei rapporti economici e commerciali “che legano e tendono a legare l’Italia dell’Unione Sovietica” perché, tali iniziative, avvenne l’incontro delle due rivoluzioni (quella fascista e l’altra di Lenin) promovendo la condanna della recessione sociale creata dalla plutocrazia. Il sopravvento di Joseph V. Dzugasvili (Stalin) nel 1927 alla guida dell’URSS, con il conseguente allontanamento di Trotshij, Zinoviev e Kamenev della politica del Kremlino chiuse l’appartenenza di Bombacci al partito comunista, promosse l’ulteriore avvicinamento a Mussolini e nel 1936 gli permise di intraprendere il 6 aprile la pubblicazione in Italia del periodico comunista “La Verità” (una “Pravda” per i nostri connazionali) contro il quale si scatenò l’accidia critica dei Pensatori Politici dei salotti di destra e di sinistra, prossimi però, a scuoiarsi le mani all’imminente proclamazione del nuovo Impero Italiano, effettuata il 9 maggio dal Duce sul Balcone di Palazzo Venezia. Bombacci fu anche tra i sostenitori dell’autarchia perché, l’ostruzionismo del capitalismo Yankee e l’Albione significava soltanto d’impedire all’Italia e all’Europa il proprio riscatto dalle imposizioni schiaviste del trattato di Versailles del 28.4.1919 che tutto pronosticava come utopia, meno che l’autentica pace e la genuina evoluzione al progresso sociale dei popoli.




Da quel momento, dalla nascita della Pravda italiana, allo sconvolgente 8 settembre 1943, l’incedere degli avvenimenti è celere, anche travolgente, e dopo il radio discorso di Mussolini da Monaco di Baviera – dell’8 settembre – che incitava gli italiani alla costituzione della repubblica sociale e alla riscossa, anche Bombacci, con i “compagni” Walter Mocchi, Fulvio Zocchi, il socialista Carlo Silvestri e molti altri non fascisti, si recò al nord per la rivolta ideale contro il tradimento badogliano e per la civiltà del lavoro da riscattare, da aprire a un futuro migliore col solco della Socializzazione.




Nel tracciare le caratteristiche di “Uomini e scelte della RSI” (ediz. Bastogi, 2000) il promotore F. Andriola affidò a Guglielmo Salotti il compito di illustrare la figura di Nicola Bombacci e l’opera da lui svolta tra i protagonisti della repubblica di Mussolini e, anche in questa appassionata analisi, emerge con chiarezza che egli fu all’altezza del compito, contribuendo a far vibrare nel Manifesto di Verona (quello del PFR e approvato nel novembre 1943) lo spirito appassionato di Alceste de Ambris allorquando, per la reggenza del Carnaro e per Gabriele d’Annunzio, approntò lo “Statuto della Perfetta Volontà Popolare” in cui, come ribadì anche Fulvio Balisti, venne delineato un primo studio di Socializzazione e che nell’assise di Castelvecchio s’elevò a cardine fondamentale per l’ordinamento del lavoro nel nuovo Statuto, tutelando contemporaneamente il diritto alla proprietà privata nelle aziende e quello partecipativo agli utili da parte delle maestranze produttrici.




Nella proiezione delle principali immagini della RSI sullo schermo della storia (quello illuminato anche da Giuseppe Mazzini e da Alfredo Oriani) s’inseriscono con stile eroico il discorso di Mussolini al Teatro Lirico di Milano (15.12.1944) e quello di Bombacci in piazza De Ferrari a Genova (15.3.1945): entrambi espandono nel futuro la volontà elettiva del lavoro premiante e della giustizia sociale a simbolo dell’autentica civiltà.




Senza questa certezza non si promuove il progresso.

Autore: BRUNO DE PADOVA
Fonte: ITALIA-RSI

COMUNICATO LINEA OVEST "CONFEDERATIO" 05122010

COMUNICATO 05122010

Con il presente informiamo che a seguito dell’Incontro di Montichiello del 19 Dicembre 2010 e in base alla relazione interna datata 23 Dicembre 2010 denominata “UNA SCELTA D”AZIONE” redatta dai nostri delegati presenti all’Incontro, a favore dei nostri aderenti e simpatizzanti , il direttivo ha unanimamente approvato l’adesione a CONFEDERATIO.
Pertanto, a partire da oggi (27 Dicembre 2010) LINEA OVEST affiancando le altre realta’ associative, legate dal perseguimento di comuni obbiettivi e nello spirito di Fedelta’e di Onore che contraddistingue la nostra azione politica e il nostro codice ideale , operera’attivamente e disciplinatamente perche’ CONFEDERATIO possa rappresentare una reale forza di contrasto al Regime.
In tale azione , nella volonta’ assoluta di superare contrasti decennali responsabili della paralisi di una intera Comunita’ e della perdita progressiva di capacita’ operativa, LINEA OVEST all’interno dei limiti di legittimi sistemi di lotta , nel rispetto del Codice di Condotta concordato da I delegati Confederati, e in base ai punti costitutivi di CONFEDERATIO, intende sviluppare sinergicamente una azione politica in favore di un progetto Comunitario di Popolo , in difesa della Nazione in senso Patriottico, Etnico e Sociale.
LINEA OVEST inoltre , nel quadro delle attivita’ prevedibili ed auspicabili relative a CONFEDERATIO , pur respingendo qualunque revisione dottrinaria , auspica un progressivo sviluppo dinamico ad ampio respiro della struttura ideale della Nostra Comunita’ Umana e Politica , affinche’ questa, possa evolvere dallo status di Erede alla condizione di Protagonista , al passo con le profonde e violente mutazioni
Mondiali e Regionali registrate nel corso di oltre mezzo secolo di globale oppressione liberal-capitalista.
Infine, nell’atto solenne di una adesione priva di pregiudiziali,LINEA OVEST auspica che La nostra Comunita’ possa affiancare con superiore spirito di collaborazione e fratellanza il percorso Confederativo all’interno del quale , ogni identita’ associativa puo’ e forse per la prima volta all’esterno del sistema partitocratico, esprimere una strategia coesiva contro un nemico comune, a favore del nostro popolo e nel rispetto assoluto delle identita’ associative chiamate a schierarsi su un nuovo Fronte di Lotta.

W CONFEDERATIO W LE COMUNITA’ DI POPOLO

Per la Vittoria!
LINEA OVEST


domenica 26 dicembre 2010

Sting Children's Crusade testo

Sting - Children's Crusade--------------------------------------------------------------
Young men, soldiers, nineteen fourteen
Marching through countries they'd never seen
Virgins with rifles, a game of charades
All for a children's crusade

Pawns in the game are not victims of chance
Strewn on the fields of Belgium and France
Poppies for young men, death's bitter trade
All of those young lives betrayed
The children of England would never be slaves
They're trapped on the wire and dying in waves
The flower of England face down in the mud
And stained the blood of a whole generation
Corpulent generals safe behind lines
History's lessons drowned in red wine
Poppies for young men, death's bitter trade
All of those young lives betrayed
All for a children's crusade
The children of England would never be slaves
They're trapped on the wire and dying in waves
The flower of England face down in the mud
And stained the blood of a whole generation
Midnight in Soho nineteen eighty four
Fixing in doorways, opium slaves
Poppies for young men, death's bitter trade
All of those young lives betrayed
All for a children's crusade

INFERTILITA', In Italia ogni anno 10.000 bimbi in provetta

Infertilità, In Italia ogni anno 10mila bimbi in provetta

I dati del congresso di endocrinologia ginecologica: 55mila casi di fecondazione assistita nel 2007. L'età media delle donne che si rivolgono ai centri è 36 anni e un parto su 4 è di ultraquarantenni

di Adele Saro


L’infertilità dilaga. I dati parlano chiaro: oggi una coppia italiana su sette è infertile, in 55.437 hanno intrapreso un percorso di procreazione medicalmente assistita (Pma) nel 2007, grazie al quale sono nati 10.000 bimbi. I numeri arrivano dagli esperti della Società di endocrinologia ginecologica riuniti a Firenze, che spiegano come nel nostro Paese le pazienti che utilizzano le tecniche di Pma hanno in media 36 anni e un parto su 4 avviene in ultraquarantenni, con percentuali di riuscita decisamente più basse. L'aspettativa di avere un figlio per una coppia nella quale è presente una donna di età superiore ai 35 anni è ridotta del 50% rispetto a chi ha un'età inferiore.

sabato 25 dicembre 2010

MILITIA ROMA

Incontro organizzato dal Movimento Politico Militia astenersi traditori,doppiogiochisti, collaboratori del P.d.l., delatori e porci che mendicano una data importante come questa solo in quel giorno, per poi fare lo schifo politico e umano per il resto dell'anno!Concentramento ore 18.30circa Chiesa Santa Maria Ausiliatrice info al 327/7884067 chi dà la disponibilità è pregato di mantenere l'impegno e la parola data!!!ricordando anche che il 7 Gennaio è una data importante non solo per Roma ma per tutti i veri Camerati, chiunque gruppi o singoli vogliano partecipare possono contattarci per chiarimenti e info inoltre per le persone che abbiano bisogno di un posto per la notte, ci sono a disposizione posti letto per ogni evenienza ricordando però di farlo sapere in tempo utile! ANCHE SE TUTTI...NOI NO!!! Vita Est Militia!

PRIGIONIA PER I REVISIONISTI , SEGNALI DI UNA REPRESSIONE IN CORSO

CARCERE PER CHI PUBBLICA LIBRI REVISIONISTI
PEDRO VARELA- LETTERE DALLA PRIGIONE N. 20/DICEMBRE 2010
DIFENDETEVI QUANDO LA REPRESSIONE INIZIA PERCHE’ DOPO SARA’ TARD
CAMERATI , DA DIFFONDERE!
 
 
Quando leggerà queste righe mi troverà sulla strada del carcere, per scontare una condanna privativa della libertà.

Qual’è stato il mio crimine?

Non si preoccupi, non sono colpevole di aver rapinato una banca (la qual cosa sarebbe in qualche modo giustificata da molte famiglie), spacciato droga, falsificato banconote, assassinato con premeditazione, né per la tratta delle bianche… ma per un mero delitto di opinione.


Delitto di opinione?

Si, nel nostro paese esistono, in pieno secolo XXI, e per incredibile che sembri, libri, scritti, ricerche, pensieri, idee, in definitiva: opinioni proibite.

Proibite?

Effettivamente, non abbiamo trovato nessun posto dove questo risulti, però i fatti, la REALTA’, quello che conta, è che si sequestrano libri,

vengono inviati al rogo (non in forma figurata) e

si condanna al carcere chi li edita o li distribuisce

Il mio delitto?

Aver messo a disposizione del pubblico libri non-ortodossi.

C’è dell’altro?

No, nient’altro. Nemmeno sono l’autore dei libri.

Semplicemente li ho messi a disposizione degli interessati.

Inoltre, oltre ai libri, ho organizzato conferenze degli autori e presentazioni di nuovi titoli, normalmente boicottati dalla massa, e molto di più dalle autorità togate e in uniforme.
Che io sappia non esiste un Indice dei libri proibiti in Spagna. Non ci sono nemmeno autori proibiti né, in teoria, idee proibite. Tanto meno abbiamo potuto incontrare il Signor Censore o Gran Inquisitore responsabile di portare a termine questa repressione. Però c’è qualcuno che si è auto investito come tale.

Il potere ha i suoi sistemi, i suoi commissari sovietici, i suoi demonizzati, per ottenere che il pubblico applauda quando, dopo aver convinto tutti che ha la rabbia, si neutralizza il dissidente per metterlo nell’ombra, collocandolo fuori dall’Umanità e fuori dalla legge.
Le scuse che propongono sono varie e terribili: alcuni dei libri che pubblico o i loro autori (ricordiamo che io non sono l’autore) fomentano l’odio e la predisposizione negativa verso alcuni gruppi umani.

Se un autore, per esempio, denuncia il potere dell’alta finanza internazionale in mano ai sionisti newyorkesi, i Grandi Inquisitori fanno una lettura tendenziosa e parziale dell’opera per concludere che Pedro Varela (l’editore) per forza “odia” questi sionisti e “li crede colpevoli di tutti i mali del mondo” (sentenza giudiziale).

Se un altro autore arriva alla conclusione che l’immigrazione massiccia e forzata porterà alla fine delle diversità dei popoli e delle nazioni del pianeta e, innanzitutto, dell’Europa bianca, ne ottengono una nuova lettura parziale e ne deducono che Pedro Varela, per aver pubblicato il tal autore, “fomenta l’odio” contro i poveri immigranti, che alla fine sarebbero, tra l’altro, l’oggetto e non gli autori di questa politica di sostituzione della popolazione autoctona europea.

Ma vanno ancora più in là.

Se un autore studia a fondo un certo mito storico e arriva alla conclusione che la versione ufficiale non concorda con i fatti, non possono perseguitare l’autore né l’editore o il libraio per questo fatto (secondo la sentenza 235/2007 del Tribunale Costituzionale). Ma si accontentano della decisione di questo alto tribunale? In effetti no. Realizzano un contorsionismo giuridico per affermare che Pedro Varela, l’editore, anche se secondo la Costituzione può negarlo o dubitarne, senza dubbio “giustifica il (supposto) olocausto” (e rende colpevole di questo supposto crimine chi dubita di esso!). “Crimine” che alcuni storici studiano a fondo per metterlo in discussione.
E questo viene evidenziato, continuano le accuse, per il fatto che questo editore “fuori legge” pubblica testi in fac-simile di autori tedeschi di una epoca storica europea ben determinata. Un libro che parla di economia nazionalsocialista riportando quali furono le soluzioni alla disoccupazione e alla crisi economica? Fomenta l’olocausto!

Un libro sopra le differenze di QI (coefficiente di intelligenza) nella popolazione degli Stati Uniti scritto dallo studioso ebreo H.J. Eysenck?

Senza dubbio l’editore vuole fomentare l’odio verso le minoranze (che fra poco saranno maggioranze) razziali!

Un documento storico come il Mein Kampf di Hitler (che può corrispondere al Libro Rosso di Mao o a Il Capitale di Marx)? Questo non è parte della Storia Universale ma uno strumento per promuovere l’odio e incitare al crimine… Un autore pone in evidenza i collegamenti fra sionismo politico, lobby ebraica americana, alta finanza internazionale e anti-cristianesimo militante (come fa l’israeliano Israel Shamir)? Quello che vuole l’editore dell’ebreo Shamir (cioè quello che questo sottoscrive) è che il mondo odi i sionisti….

La realtà è che per loro sono un non-ortodosso, e per questo mi considerano un nemico ideologico del Sistema. Per questo mi tolgono dalla circolazione, non per altro.

In realtà si cerca di impedire al pubblico di arrivare a leggere certi testi, di pensare con la propria testa, e, soprattutto, che si continui a credere di poter comprare quello che si vuole.

Qui non mi dilungo e sarà il tema di una prossima lettera, però basti ricordare che l’”Invenzione dei reati razziali” era una delle 11 raccomandazioni principali per la trasformazione e dissoluzione dell’Europa Cristiana secondo gli “intellettuali” della Scuola di Francoforte.

Un’altra era promuovere “Grandi migrazioni per distruggere l’identità culturale dei popoli” così come “Lo svuotamento delle chiese”, l’implemento di “Un sistema legale che porta discredito alle vittime e non ai colpevoli”, fomentare la “Dipendenza dello Stato e delle sue risorse”, “Controllo e abbassamento del livello dei mezzi di comunicazione” o “Fomentare la disintegrazione della famiglia”, e altri.

La scelta è ora tra il nazionalismo difensivo e l’internazionalismo alienante; vale a dire, secondo i censori ideologici, tra “antisemitismo” e “pro-semitismo”.

Se non si sta con loro e al loro servizio si sta per forza contro e si viene accusati di volerli mandare tutti nelle “camere a gas”.
Se un editore promuove autori e mette a disposizione del pubblico libri che denunciano questo piano criminale, deve andare in carcere.

Si può parlare di prevaricazione del Potere in questo caso? In ogni caso hanno optato per la via dell’estrema soluzione. La prevaricazione dei parlamentari, dei giudici, degli ispettori di polizia non è solo un delitto gravissimo; lo sono anche, al margine di quale che sia la sentenza, le conseguenze del giudizio stesso,che implica la privazione della libertà di un uomo , la cancellazione effettiva dei diritti e delle libertà pubbliche di coloro i quali vorrebbero accedere a questi libri sequestrati, la messa in questione della moralità dell’editore condannato alla prigione come un volgare criminale.

Gli argomenti per dar il via al procedimento e alla condanna del sottoscritto (affermato nella denuncia e condanna “non è qualcosa che si possa considerare ab initio lontano dal tipo penale della prevaricazione, almeno come ipotesi”) sono stati impiegati dai giudici e dai funzionari di polizia audaces contra Varela. Sicuramente ci sono molte persone contrarie alle iniziative del Potere per limitare la libertà della lettura, ricerca, informazione, espressione, edizione o diffusione di quale che sia il “crimine” che viene commesso. Senza dubbio, molti più di quelli che favoriscono la repressione, minoranza offuscata che detiene le redini del potere reale.

Pedro Varela

Aiutateci

Potete aiutarci a portare avanti questa lotta per la libertà di Pedro Varela e per la riedizione dei libri che hanno sequestrato e distrutto?

IBAN ES3221001344600200026408
BIC CAIXESBBXXX
Causale: LIBERTAD PEDRO VARELA

venerdì 24 dicembre 2010

Le Origini: Una via solitaria , una sintesi necessaria

Benito Mussolini viene espulso dalla Sezione socialista di Milano, presenti Lazzari, Serrati, Bacci e Ratti.

Corre il 24 novembre 1914.
...
Mussolini, fra clamori e invettive, replica: «Voi siete più implacabili dei giudici borghesi. Voi credete di perdermi. Vi ingannate. Voi oggi mi odiate perché mi amate ancora. I dodici anni della mia vita socialista dovrebbero essere una garanzia sufficiente. Il socialismo è qualcosa che si radica nel sangue. Quello che mi divide da voi non è una piccola questione, è una grande questione che divide il socialismo tutto».

«Traditore!», «Fuori!», «Giuda!», «Rabagas!», gli gridano.

«Vedevo intorno a lui -scrive Paolo Valera ("La Folla", 29.11.1914)- mani agitate, furiose, come udivo invettive che gli si attorcigliavano al collo come se lo avessero voluto strangolare».

È così? Traditore?

Il Congresso socialista di Reggio Emilia del 7 luglio 1912 si era appena concluso, con il trionfo di Benito Mussolini contro «riformisti» e «massoni», che quest'ultimo, su "La Folla" dell'11 agosto 1912, scriveva:

«lo sono un primitivo anche nel socialismo. Io cammino nell'attuale società di mercanti come un esule. Non sono un uomo di affari. Non ho il gusto del commercio. Ora che il socialismo sta diventando un affare, per i singoli e per la collettività, non lo capisco più. Io vivo in un altro mondo. Sono cittadino di un'altra epoca».

Non lo capisco più, io vivo in un altro mondo. Sono parole di Benito Mussolini. Nel pieno del suo trionfo «socialista», quando il sogno, tanto accarezzato, di diventare direttore di un grande quotidiano nazionale, "l'Avanti!" (1.12.1912), si avvera. Ha ottenuto tutto, eppure afferma: «Mi sento un esule, questo socialismo che sa di affari, questo socialismo mercantile, non lo capisco più. Mi sento cittadino di un'altra epoca». Trionfava da socialista, in mezzo ai socialisti, ma la sua solitudine si faceva più amara.

Ma la «sua» solitudine da che cosa derivava?

Mussolini intuiva che quelli erano tempi di rottura, di scelte precise, di decisioni drammatiche. E si poneva l'interrogativo, angosciosamente: «Ma questo "socialismo" riformista delle mediazioni, dei compromessi, e degli affari, messo su dagli avventurieri della media borghesia e dai "balordi di Montecitorio", sarebbe stato, davanti alla "prova" tremenda che si avvicinava, all'altezza dei tempi?
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giovedì 23 dicembre 2010

Ai camerati di CONFEDERATIO

Ora CONFEDERATIO si trasformera’ in una realta’attiva , dinamica e positiva. Non si trattera’ di un percorso facile e indolore e ognuno di noi dovra’ rinunciare a qualche frammento della rigidita’ che spesso fa parte del nostro codice genetico in termini relazionali. CONFEDERATIO e’ un sogno che gode della potenza di una idea inmmortale e la fragilita’ delle cose umane. A noi il compito di considerare ogni individuo , ogni realta’ associativa al suo interno, alla pari dell’uomo con il quale “usciremmo in pattuglia di notte” Dovremo SEMPRE cercare quello che ci unisce ancora prima di rilevare quello che puo’ separarci. Una volta scolpita la forma definitiva di questo formidabile strumento , potremo finalmente dedicarci a quello per cui esistiamo come Soldati Politici e cioe’ al nostro Popolo.
Potremo svegliarlo dal Suo torpore letale , difenderlo dagli abusi del regime partitocratico , proteggerlo dalla oppressione usurocratica , restituirgli il senso della Giusta Rivolta e sopratutto, indicargli un Orizzonte diverso, dove l’”Essere” prevale sul “Possedere”, dove l’UOMO vince la sua battaglia contro l’ORO.
All’accusa di Nostalgismo non abbiamo intenzione di sottrarci, consapevoli come siamo che la nostra Nostalgia e’ per per una visione perduta di dinamiche superiori
e non certamente icline alle riesumazioni. Noi siamo EREDI e non REDUCI, Noi siamo il solo futuro possibile per il nostro Popolo.

Nell’Onore di esservi al fianco
Per la Vittoria!
CM  NM

martedì 21 dicembre 2010

Commento al CIRCOLO C.GRAZIANI "Chi siamo"

Circa la  replica del Centro Studi Socialismo Nazionale (21 Dicembre 2010) allla nota del Circolo Clemente Graziani pubblicata sotto il titolo: "Sia Chiaro" , sentiamo il diritto-dovere di un commento e questo, nonostante Linea Ovest non sia stata presente ai lavori di Isola Farnese nel Giugno scorso per la creazione di Confederatio.
Tale diritto nasce dal disappunto (visti gli esiti ), di una iniziativa che vedeva noi e molte altre forme associative , entusiaste all'idea di uno strumento nel quale operare in modo organico e sinergico e pronte ad operare in questa direzione in termini immediati e non nebbiosamente futuri.
Tale diritto di replica e' se possibile rinforzato dal fatto che la consistente nota del Circolo Graziani e' stata "Sbattutta in prima pagina" e non certamente indirizzata alla circocriitta lista di presenti ad Isola Farnese.
Infine il diritto di replica da parte nostra rappresenta un unilaterale atto di "comunicazione" in risposta all'arrogante incomunicabilita' di una identita' associativa usa a considerare la nostra comunita' non sufficientemente Kosher per meritare evidentemente, fosse anche la minima cortesia, se non attenzione.

Il Circolo Graziani nella nota , si assume la responsabilita' storica e umana di marchiare chiunque non sia allineato al tracotante diktat di recente fabbricazione laboratoriale come "BINARIO MORTO". In questo, il Circolo Graziani insulta non solo l'elemento folkloristico di un arcipelago complesso e attualmente disarticolato, ma anche e sopratutto , la regione umana che contro ogni previsione , armata evidentemente di convinzioni inossidabili , di un incontestabile patrimonio culturale e della necessaria dose di decenza, se non di Fedelta', affronta come , dove e quando gli e' consentito, l'impatto diretto con un sistema non affrontabile certamente con rituali neo druidici.

Nell'intollerabile insulto a 65 anni di RESISTENZA AL BUIO  (Effettiva o meno) il Circolo Graziani non propone lateralmente un approccio freddamente tattico,  comprensibile, ma sorprendentemente, una sorta di automutilazione , di oblio , di annullamento integrale di un percorso fatto di uomini e della loro Storia , minuscola o epica che sia.
Il Circolo Graziani non propone una progressiva rieducazione della nostra comunita', non offre l'alternativa di una fisiologica mutazione del messaggio al passo con  questo nostro tempo. Il Circolo Graziani fa esplodere alle proprie spalle il tessuto connettivo con il suo popolo. Tessuto che ancora prima di essere tattico, e' umano.
Siamo ora informati di essere degli "Imbalsamatori" delle rivoluzioni del 900 e che anche il piu' insignificante riferimento a personaggi "Storici" dovrebbe anzi ,deve , per dittatoriale e quindi unilaterale decisione di un non meglio identificato Gotha intellettualoide peraltro muto , essere eliminato dalle nostre Ragioni Sociali (????!!!!!!) Inoltre e pare senza particolare discernimento , orientarci verso frequentazioni che dovrebbero favorire chiuque , tranne chi ,e' a noi piu' prossimo . La violazione di tali...... comandi , comporta pare la esclusione dal club illuminato  che dovrebbe convincere la Nazione , anzi , il Continente se non il pianeta che abbiamo cambiato pelle , che abbiamo rinnegato in blocco una identita' e al pari di un gruppo ambientalista dell'Oregon, saremo finalmente capaci di essere prolissi senza dire nulla nella visione pannellarmente solare di un uomo libero da legami mnemonici e proiettati verso un futuro privo di idee ma finalmente innovativo.
Viene naturale chiedersi: COSA E' CONFEDERATIO OGGI ? CHI NE POSSIEDE IL QUADRO COMANDI ?  Ci pare legittimo se dovremo rinnegare uomini e pensieri in un prossimo futuro e sottometterci per senso partecipativo alla fantastica avventura che si delinea all'Orizzonte.
Osserviamo il contorcimento con tristezza. E' una malinconia che prende allo spettacolo di un equivoco poco buffo .
Noi , cosi' poco Mussoliniani , Noi che non andiamo a Predappio e neanche a Wewelsburg , noi  che ci concediamo un salutino romano solo ai funerali , Noi che nascondiamo medaglie e anni di galera nell'ultimo cassetto e i nostri contatti rivoluzionari con il "nemico" e i nostri Fuochi di Beltane vecchi di trent'anni in album fotografici similpelle , cosa possiamo dirvi ?
La tentazione di reiterare il concetto base del "Tireremo diritto" e' grande ma sospettiamo che a questo dato siate preparati. E preferibile rammentarvi che da certe svolte non esiste ritorno e che le forze avvicinatesi a Confederatio posseggono cuore e mente per comprendere le contingenze , gli imperativi tattici , la necessita' di nuove estetiche e linguaggi e che tale coscienza puo' essere estesa a fasce ancora piu' ampie solo concedendo loro il tempo per apprendere e comprendere senza violentarne quell'essenza emotiva rivolta ad un passato tangibile in assenza di un presente e nell'incertezza globale di un futuro.
A meno che non crediate in una sorta di circolo Pickwick post radicale che giocherella con una sublimazione metapolitica contemporanea , dovrete confrontarvi con l'elemento umano , cioe' con il numero necessario perche' all'esterno del palazzo si oda qualche clangore che metta brividi di disagio e che preannucnci l'inizio della fine. Se negate a CONFEDERATIO questo ruolo essenziale , potete allontanarvene e lasciare ad altri un combattimento necessario.

   Claudio Modola
                                                                                          info@lineaovest.org

venerdì 17 dicembre 2010

Intervista a Leon Degrelle nella sua casa di Malaga


Chiaramente, noi abbiamo perso la guerra non perché ci mancasse coraggio; per quattro anni l’epopea dell’Europa sul fronte russo è stata la più grande avventura militare della storia. Anche questo è incredibile, che la gente non dia importanza ad un fatto del genere (…), che per quattro anni ci sia stato un fronte favoloso, di 3000 Km di lunghezza, una lotta che ha messo di fronte decine di milioni di uomini; il caso delle Waffen SS, un esercito di un milione di volontari, non si era mai vista una cosa simile. Di questo non se ne parla, né dell’eroismo inaudito che è stato dimostrato. Si pensi solo al percorso da Stalingrado a Berlino; abbiamo resistito 1000 giorni, 1000 giorni resistendo palmo a palmo, sacrificio dopo sacrificio, centinaia di migliaia di uomini che morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: “Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io”. Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: “Siete stati veramente bravi, grazie!” (…). Si dice sempre: “Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?”. Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: “Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?”. Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: “Ma non siamo numerosi”, ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: “Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili.” Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!”.

Charlemagne- I Leoni morti nell'ultima battaglia di Berlino- Saint-Paulien

giovedì 16 dicembre 2010








                                              A TUTTI VOI, UN FELICE SOLSTIZIO

Alain De Benoist "La Posizione Etica"

 La posizione etica dell'autore francese scaturisce dal rifiuto di ogni  logica utilitarista e di ogni concezione del bene e del mare basata sull'interesse, il che lo porta a sostenere una “morale aristocratica” fondata sull'Onore. L'Onore, per De Benoist, consiste nella fedeltà alla norma che ci si è dati e nella capacita di saper agire contro i propri interessi. Da questa posizione si rivaluta la figura dell'eroe, intesa come quella persona che cerca sempre cosa può dare alla vita e all'esistenza in contrapposizione a coloro che cercano qualcosa da ricavare da essa (W.Sombart), al fine di fornire un'esempio etico alla società. Dalla concezione etica di De Benoist si rivaluta la  posizione del Dovere nella diade Diritto/Dovere, in quanto “Se un uomo ha un Diritto ciò significa che ha anche dei doveri.Più precisamente, se deve esserci parità dei diritti deve esserci anche parità dei doveri”[20]  Questa visione dell'etica è contornata dalla consapevolezza concernente la natura tragica dell'esistenza umana, la quale nasce dalla percezione di una doppia contraddizione: “in primo luogo tra la nostra piccolezza e la nostra brevità davanti all'immensità e all'infinità del mondo; poi dal fatto che noi siamo contenuti nel mondo sul piano materiale e il fatto che il mondo, pur così immenso, è allo stesso tempo contenuto in noi sul piano spirituale”[21]. L'uomo secondo De Benoist è, in quanto consapevole di questa tragicità, l'unico essere che riesce “a far uscire il più dal meno” creando forme dell'universo che al difuori dell'essere umano non esisterebbero. La grande rivincità umana, per l'autore transalpino, sarebbe quella dell'intensità della vita che, raggiungendo picchi infiniti, sconfiggerebbe la brevità e la finitezza dell'esistenza.

Pierre Drieu La Rochelle e le sue opere





la Canzone del Carnaro - irredentismo.forumfree.net

Per noi, la gente.

E' vero che siamo strozzati dai ritmi di vita; è vero che lottare contro il Potere è oggi come attraversare un labirinto di muri di gomma, chi lo ha fatto lo sa bene; è vero che i mezzi di lotta cosiddetti democratici sono in gran parte una frode; è vero che 'loro' sono spietati e che non ci risparmiano nulla; ed è vero che tutto ciò finisce per costringere le loro vittime all'angolo della violenza. Ma l'apatia di milioni di noi non si può giustificare. E la miopia della minoranza attiva ossessionata dal 'cortiletto del potere', ancora meno. Il Mahatma Gandhi, quello vero, predicò di affrontare il proprio nemico facendosi persino macellare col sorriso sulle labbra. Ma disse anche che se non si posseggono i mezzi per fare ciò, l'apatia non può mai essere giustificata, e allora che si imbraccino i fucili e si spari al nemico. Questo disse Gandhi.

Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info
Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=199
16.12.2010

Sinead O'Connor - This IS a rebel song- NPA LIVE

Sinead O'Connor - This IS a rebel song- NPA LIVE

IRA Rebel Songs - Come Out You Black And Tans

Dead Can Dance - The Wind That Shakes The Barley

Into the West Annie Lennox, Live at Oscars.flv

Il barone Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg
di Pio Filippani Ronconi - 03/01/2007

Fonte: libreriaar

 
 
Sessantasei anni fa, all’alba del 17 settembre 1921, cadeva fucilato a Novonikolajevsk, secondo altri a Verkhne-Udinsk, presso il confine mongolo, il comandante della divisione asiatica di cavalleria, barone Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg, ultimo difensore della Mongolia “esterna” indipendente e della Siberia “bianca”. Con la morte del “Barone pazzo” nulla più si opponeva al dilagare dell’esercito bolscevico di Blücher nell’Estremo Oriente siberiano e la fase guerreggiata della Rivoluzione si concludeva. L’effimera meteora del Barone e le disperate imprese della sua divisione non ebbero, in fondo, un effetto determinante su quest’ultimo scorcio della Guerra Civile, specialmente dopo il crollo dell’esercito bianco di Kolcak che, battuto il 14 novembre 1919 ad Omsk, aveva praticamente cessato di esistere. Invece, l’importanza del barone Ungern e del suo variopinto esercito, formato da Cosacchi della Trans-baikalia, da Buriati, Mongoli, volontari Tibetani e Guardie Bianche di ogni provenienza, era soprattutto di natura spirituale. Il Barone, religiosamente affiliato ad una corrente tantrica facente capo allo Hutuktu di Ta-Kuré e suo braccio militare durante l’anno in cui fu padrone della Mongolia esterna, aveva sin dal principio, cioè sin dalla conferenza panmongola di Cita del 25 febbraio 1919, dichiarato la sua intenzione di ristabilire la teocrazia lamaista nel cuore dell’Asia, «affinché da lì partisse la vasta liberazione del mondo». La controrivoluzione era per lui solo un pretesto per evocare sul piano terreno una gerarchia già attuata su quello invisibile. Questa gerarchia doveva proiettarsi su un mandala, un mesocosmo simbolico, il cui centro sarebbe stata la “Grande Mongolia”, comprendente, oltre alle sue due parti geografiche, l’immenso spazio che dal Baikal giunge allo Hsin-Kiang e al Tibet. Ivi, pensava, si sarebbe attuata la rigenerazione del mondo sotto il segno del Sovrano dell’agarttha (“inafferrabile”) Shambala, la “Terra degli Iniziati”, ove Zla-ba Bzan-po e i suoi 24 successivi eredi perpetuavano il segreto insegnamento del Kalacakra, la “Ruota del Tempo”, loro impartito dal Risvegliato 2500 anni fa. 2500 anni è esattamente la metà del ciclo di 5000 che, secondo la tradizione, separa l’apparizione dell’ultimo Buddha terrestre, Gautama Sakyamuni, dall’avvento del successivo Maitreya, figura probabilmente mutuata dallo zoroastriano Mithra Saosyant, “Mithra il Salvatore” (difatti l’iconografia buddhista lo rappresenta tradizionalmente come un principe “seduto al modo barbarico”, cioè assiso all’europea). Lo stesso Hutuktu di Urga, che Ungern, liberandolo dai Cinesi, aveva ristabilito sul trono, terza autorità nella gerarchia lamaista dopo il Dalai Lama di Lhasa e il Panc’en Lama di Tashi-lhumpo, era teologicamente considerato quale proiezione fisica (sprul-sku) di Maitreya, prefigurazione, quindi, del Buddha venturo. Ungern, consapevole nonostante questa vittoria della sua fine imminente, si rendeva conto di trovarsi in un istante “apicale” del divenire della storia, come se fosse nel cavo fra due onde, un attimo prima che rovinino in basso. Pertanto, nel suo breve periodo di governo ad Urga (dal 2 febbraio all’11 luglio 1921) cercò di tramutare questo istante in un “periodo senza tempo” che permettesse allo Hutuktu di compiere la sua opera spirituale, liberandolo dalla pressione esterna dei due poteri che incombevano: la Cina dei “Signori della Guerra” dal Sud, e la valanga bolscevica che muoveva inarrestabile dal Nord, dalla Siberia. Erano tempi terribili in cui, piú che dal potere delle armi, gli eventi sembravano determinati da forze promananti da una sorta di magia infera. Coloro che furono testimoni degli sconvolgimenti determinati dalla Rivoluzione di Ottobre ricordano la spaventevole automaticità medianica con cui le “forze rivoluzionarie” demolivano le strutture della vita civile cosiddetta “borghese” e le vestigia dell’ordine antico. Le masse si coagulavano in quegli strati della società in cui maggiormente era assente il principio dell’“Io” autocosciente, fra i miseri, i vagabondi, gli allucinati sopravvissuti dai Laghi Masuri e dalle battaglie della Galizia, i fanatici, i tarati e tutti coloro per i quali la ferocia belluina era alimento quotidiano dell’anima. Ai rivoluzionari non si scampava: mossa come da un’ispirazione demoniaca, la “giustizia del popolo” colpiva infallantemente i nemici della Rivoluzione un momento prima che si muovessero. Il Terrore era guidato da una occulta saggezza che nulla aveva a che fare con la brillante intelligenza di coloro (Trockij, Kamenev, Zinoviev ecc.) che lo avevano scatenato e pensavano di dirigerlo: una saggezza che realmente promanava dall’elemento preindividuale della “massa”, come le forze fisico-chimiche che provocano un terremoto o la fuoriuscita della lava da un vulcano. Ungern chiaramente si rendeva conto di tutto ciò e, dalle sue conversazioni con l’ingegnere Ossendowski, già ministro delle Finanze nel governo di Kolcak, risulta evidente come egli cercasse di evocare misticamente il principio opposto, quello solare, che segnava il suo stendardo, riferendosi ad una cultura, quella tantrico-buddhista, che da due millenni lo coltivava. Soltanto che la sua ascesi personale non poteva diventare il mezzo strategico di vittoria per i suoi cinquemila cosacchi, russi sí, mistici forse, ma fatalmente appartenenti ad un mondo orientato verso un’esperienza dello Spirito volta al mondo sensibile esteriore. Nel suo Uomini, Bestie e Dèi, che è la narrazione della sua fuga dalla Siberia alla Mongolia, Ossendowski ci ha lasciato un’impressionante descrizione degli eventi, ma, molto di piú, dell’allucinata atmosfera che regnava sulla ufficialità che attorniava il Barone e fra le sue truppe, sottomesse da anni a spaventose fatiche e ad una disciplina rigidissima e, per giunta, consapevoli del disastro imminente. La narrazione dell’Ossendowski verrà in seguito aspramente criticata (fra gli altri dallo stesso Sven Hedin) per la parte riguardante i suoi viaggi fra gli Altai e la Zungaria. Resta, però, intatta la sua testimonianza sulla figura e sulle avventure del Barone e, soprattutto, sul senso “magico” del destino che ivi si compiva. Ricordo perfettamente la straordinaria impressione che suscitò nell’Europa distratta e frenetica degli anni Venti, anche fra i lettori piú materialisti e intenti negli affari contingenti, la relazione sul collegamento mistico fra lo Hutuktu, il Bodhisattva incarnato, il Barone Ungern e il Re del Mondo, presenza invisibile ma concretamente percepibile che conferiva un significato trascendente al sacrificio a cui i Cosacchi, il fiore dei popoli russi, andavano incontro. Questo motivo del “Re del Mondo” dette fuoco alle polveri di innumerevoli discussioni, specialmente fra coloro che si accorgevano che non si trattava di una invenzione letteraria. Fra gli altri, lo stesso René Guénon lo sottopose ad una critica serrata nel suo Le Roi du Monde, dimostrandone la fondatezza, in un’epoca in cui la Scienza orientalistica praticamente nulla sapeva del mito di re Chandra-bhadra (tib. Zlâ-ba Bzan-po) depositario di una sentenza segreta comunicatagli dal Buddha, e soprattutto ignorava la saga del suo Regnum spirituale, una specie del Castello del Graal, che storici e geografi si sono in seguito affannati a ricercare in vari luoghi del Tibet e della valle del Tarim in Asia Centrale: regno visibile solo agli Eletti, che però si renderà manifesto a tutti sotto il ventiquattresimo erede di Chandra-bhadra, quando la sapienza del Kalacakra emergerà per illuminare gli uomini circa la coincidenza della loro interiorità purificata e l’Universo degli archetipi. La leggenda di questo Barone baltico, di stirpe germanico-magiara che, rivestito della tunica gialla del lama sotto il mantello di ufficiale imperiale, e spiegando davanti agli squadroni lo stendardo mongolo, procede “nella direzione sbagliata”, verso Ovest anziché verso Est, ove chiaramente si sarebbe salvato, è tipicamente russa, ricollegandosi al motivo sacrificale della zértvjennost’ (“l’offrirsi come vittima”) per l’istaurazione del Figlio della Benedizione sulla Terra Madre, che in veste poetica era stata enunciata dallo stesso Solovjèv. Nell’ultimo rapporto ufficiale, tenuto ai princípi di agosto 1921, quando la divisione asiatica di cavalleria si trovava sul fiume Selenga intenta ad interrompere la Transiberiana fra Cita e Kiakhta, egli impartí l’ordine apparentemente assurdo di compiere la conversione verso Ovest, indi verso Sud, avendo come meta gli Altai e la Zungaria. In quella occasione disse esplicitamente al generale Rjesusín che si proponeva di raggiungere, attraverso lo Hsin Kiang cinese, niente di meno che la “fortezza spirituale tibetana”, ove rigenerare se stesso e i laceri resti della sua divisione. Assassinato il suo amico Borís la sera stessa dagli ufficiali in rivolta e morti gli ultimi fedeli, egli mosse solitario verso una direzione che non aveva piú rapporto con la realtà geografica del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non di salvare la vita, bensí di ricollegarsi prima di morire con il proprio principio metafisico: il Re del Mondo. La sua disperata migrazione verso il Sole che tramonta era in realtà un ultimo atto di culto verso la Luce che aveva sorretto le sue imprese. Trascorse la sua ultima notte di libertà nella yurta del calmucco Ja lama. Il Barone si avvide, forse, del significato del nome del suo ospite: Ja, abbreviazione in dialetto khalka del mongolo Jayagha, “fato”, “esistenza”, “destino”, karma. E il “fato” lo consegnerà la mattina seguente alle Guardie Rosse di Shentikín, il fiduciario di Blücher. Era il 21 agosto. Regolarmente processato nel sovjet di Novonikolayevsk, senza che gli venissero toccate le spalline e la croce di San Giorgio, viene accusato di “complotto anti-sovietico per portare al trono Mikhail Romanov, efferatezze ed assassinio di masse di lavoratori russi e cinesi”. Condannato, viene fucilato due giorni piú tardi. Nello stesso tempo, in un angolo della lontanissima Europa, nella Germania sconquassata del primo dopoguerra, il mito del Re del Mondo giungeva per vie misteriose a gruppi di giovani intellettuali, corroborando con il suo simbolo solare i nuovi meditatori del “Vril” e le assisi della Thule-Gesellschaft.


mercoledì 15 dicembre 2010

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Rene Guenon - La Tradizione e La Ricerca- Biografia e guida

la biografia


estratto da:
Massimo Pacilio, Conoscenza tradizionale e sapere profano. René Guénon critico delle scienze moderne, Padova, Edizioni di Ar, 1998, pagg. 19-22.



1886
Il 15 novembre, René-Jean-Marie-Joseph Guénon nasce a Blois dall'architetto Jean-Baptiste e dalla sua seconda moglie Anna-Leontine Jolly. A Blois trascorre la sua giovinezza frequentando l'Istituto religioso Notre-Dame des Aydes e poi il collegio Augustin-Thierry.


1904
Supera il baccellierato di Filosofia e quello di Matematica elementare. Ad ottobre si trasferisce a Parigi, dove segue il corso di laurea in matematica presso il collegio Rollin.


1906
Interrompe gli studi universitari, probabilmente a causa della sua saluta malferma. Viene considerato inabile al servizio militare. Comincia ad interessarsi all'ambiente occultista parigino. è di questo periodo la sua iniziazione massonica.


1909
Compaiono i suoi primi articoli, con lo pseudo Palingenius, sulla rivista "La Gnose". La collaborazione durerà fino al 1912. Si interessa alle tradizioni taoista,indù e islamica.


1912
Riceve l'iniziazione islamica e assume il nome di Abdel Wahed Yahia (che significa "Servitore dell'Unico"). Il 17 luglio sposa, a Blois, con rito cattolico, Berthe Loury. Vanno ad abitare, con una zia e una nipote di Guénon, in rue Saint-Louis-en-l'Ile, a Parigi.


1913
Collabora con la rivista cattolica "La France Antimaçonnique", firmandosi con lo pseudonimo La Sfinge.


1915
Ottiene una laurea in lettere (sezione: filosofia, opzione: matematica generale).


1916
Ottiene un diploma di studi superiori in filosofia, con una tesi consacrata all'Examen des idées de Leibnitz sur la signification du calcul infinitésimal. Insegna filosofia a Saint-Germain-en-Laye.


1917
Si trasferisce a Setif, in Algeria, per continuare l'insegnamento.


1918
Viene incaricato di insegnare filosofia al collegio di Blois.


1919
Si dimette dall'insegnamento per dedicarsi ai suoi studi.


1921
Presenta come tesi per il dottorato in lettere uno studio sulle dottrine indù, con l'approvazione di Sylvain Lévi, ma viene rifiutato per l'opposizione del decano Brunot. L'opera viene pubblicata col titolo Introduction générale à l'étude des doctrines hindoues. Pubblica Le Théosophisme, histoire d'une pseudo-religion, dove denuncia le imposture della Società Teosofica.


1923
Pubblica L'Erreur spirite, dove intraprende la confutazione dello spiritismo, a quei tempi molto in voga.


1924
Esce Orient et Occident, dove traccia le linee per un'intesa tra l'élite intellettuale occidentale e orientale. Riprende ad insegnare filosofia al Cours Saint-Louis.


1925
Intraprende la collaborazione con la rivista cattolica "Regnabit", e con la rivista "Le Voile d'Isis". Pubblica L'Homme et son devenir selon le Vêdânta e L'Esotérisme de Dante. Tiene una conferenza alla Sorbona su La Métaphysique orientale.


1927
Scrive di getto La Crise du monde moderne, in risposta a La Défense de l'Occident di Henri Massis, uscito nel '26. Pubblica Le Roi du monde.


1928
Il 15 gennaio muore sua moglie, stroncata dalla meningite. Ad ottobre muore anche la zia, Mme Duru, che aveva vissuto con i due coniugi. Guénon imposta la linea editoriale della rivista "Le Voile d'Isis".


1929
Sua nipote, che aveva allevato come una figlia, viene ripresa dalla madre. Rimane solo, umanamente ed intellettualmente. Pubblica Autorité spirituelle et pouvoir temporel e un breve opuscolo, Saint Bernard.


1930
Il 5 marzo parte alla volta de Il Cairo per compiere degli studi sulla tradizione sufica per conto della casa editrice Véga. Ma il progetto viene abbandonato e Guénon resta in Egitto. Continua la collaborazione con"Le Voile d'Isis".


1931
Viene pubblicato Le symbolisme de la Croix.


1932
Compare l'opera destinata ad esporre i contenuti della sua metafisica, Les états multiples de l'être.


1934
Prende in sposa Fatma, figlia dello sceicco Mohammad Ibrahim. Da questa unione avrà quattro figli. Collabora a "Diorama filosofico" la pagina speciale curata da Evola per il quatidiano cremonese "il Regime Fascista".


1935
La rivista "Le Voile d'Isis" cambia il nome in "études Traditionnelles", sotto la guida intellettuale di Guénon. La rivista interrompe le pubblicazioni dal '40 al '45.


1945
Viene pubblicato, nella collana "Tradizione" delle edizioni Gallimard, Le Regne de la quantité et les signes des Temps.


1946
La stessa casa editrice ripubblica La Crise du monde moderne e fa uscire l'opera dedicata alla matematica, Les Principes du calcul infinitésimal. Guénon cura la collezione dei suoi articoli sull'iniziazione, intitolandola Aperçus sur l'initiation. Esce un saggio sul simbolismo estremo-orientale, La Grande Triade.


1948
Esce la seconda edizione di Orient et Occident, con una postfazione aggiornata.


1951
Il 7 gennaio, dopo una malattia durata tre mesi, René Guénon muore, quando le sue opere cominciano a suscitare interesse verso quel punto di vista tradizionale alla cui delineazione aveva consacrato l'intera esistenza. Le sue spoglie vengono tumulate, secondo il rito islamico, nel cimitero di Darassa.



martedì 14 dicembre 2010

«Noi, i combattenti di ieri, di oggi e di domani, ci siamo trovati in un’epoca nella quale tutto ciò in cui abbiamo creduto e per cui abbiamo visto morire un’innumerevole massa di uomini, sembrava sprofondare in un mare di inutilità. Quando ci riunivamo in vari posti ed attorno a varie personalità, ciò avveniva soprattutto per l’intima convinzione della necessità di difesa. Non potevamo rinunciare a ciò per cui avevamo sacrificato tutto. Dovevamo tener viva la nostra fede che tutto ciò che avveniva aveva un senso profondo e ineluttabile. La nostra prima decisione doveva essere quella di restare fedeli alla tradizione e di dare rifugio, nei nostri cuori, alle bandiere che non potevano più esporsi senza vergogna. Così dovevano allora sentire i migliori, e quindi i più decisi di ieri dovevano anche essere i più decisi di domani, i reazionari del passato divenire i rivoluzionari del futuro. Perché nel frattempo abbiamo appreso che il nostro compito è più grande e più importante. La parola “tradizione” ha per noi assunto un nuovo significato, noi in essa non vediamo più la forma compiuta, bensì lo spirito vitale ed eterno della cui formazione ogni generazione risponde solo a sé stessa. E noi siamo, e ciò lo sentiamo ogni giorno con rinnovata coscienza, noi siamo una generazione nuova, una stirpe che attraverso le vampate e i colpi di maglio della più grande guerra della storia si è indurita e trasformata nel suo intimo. Mentre in tutti i partiti si sta completando il processo di dissoluzione, noi pensiamo, sentiamo e viviamo già in una forma del tutto diversa, e non vi è dubbio fin d’ora che aumentando la consapevolezza di noi stessi, noi sapremo esternare questa forma. Per questo noi ci sentiamo combattenti eletti per un nuovo stato».

Ernst Junger   "La rivoluzione conservatrice"
Mai, o quasi, chiedono il perché gli umili, di tutto quel che sopportano. Si odiano gli uni gli altri, e tanto basta

lunedì 13 dicembre 2010

Quando si dice Brasillach, di solito parte la retorica. È un vizio antico in uso dalle nostre parti. È morto giovane, d’accordo. Gli hanno fucilato l’animo di ragazzo, gonfio di romanticismi e sogni belli. Certamente. Ma oggi questo giovanotto di cent’anni è più vero di ieri. Nato nel 1909, morto nel 1945: si è risparmiato di scendere tutti i gradini della degradazione, all’opera nella vecchia Europa da allora in poi. Si è sottratto al destino di chi, come noi, è cresciuto nell’impenetrabile nebbione del mito mitizzato senza mai veramente conoscerlo, viverlo, vederlo a colori. La fortuna dei martiri è questa. Aver trovato qualcuno che ti fucila al momento giusto. E così ha mantenuto intatto l’alone di gloria, suo è l’esempio. Per sempre. Versato ad ammirare chiunque concepisca l’impegno come un ribollire di energia, Brasillach cantò la giovinezza in quanto contenitore naturale di forza e di tensione… e ad esempio di Codreanu richiamava lo spirito monastico e militare, la «poesia rude e piena di colore… lo stato di illuminazione collettiva…»; dei rexisti celebrava «l’elemento più spettacolare e più attraente del mondo nuovo: la giovinezza. L’universo fiammeggiava, l’universo cantava e si radunava…». Del Fascismo, dunque, coglieva non tanto le dottrine politiche, i corporativismi, le sociologie, ma soprattutto la capacità di radunare, animare e galvanizzare masse giovanili soffiando nei loro cuori uno spirito di vita… questo Fascismo-dio, che muove l’argilla e la rende carne pulsante, Brasillach lo volle vedere come il mito del secolo.
E disse cose inaudite per qualunque orecchio sordo e avvizzito. Pronunciò frasi sbalorditive per chiunque abbia venduto l’anima al perbenismo. Trinciò definizioni ingiuriose per tutti i preti laici del conformismo. Scrisse che «il fascismo è spirito. È uno spirito anticonformista in primo luogo, antiborghese e l’irriverenza vi aveva la sua parte. È uno spirito opposto ai pregiudizi, a quelli di classe come a tutti gli altri…». Che parole! E che sintesi! Che solenne poesia dello squadrismo, del darsi e del darsi altrimenti! Citò Sorel, e ne estrasse un programma politico ristretto in un’unica, brevissima frase: «…i miti non sono cabale astrologiche… Bisogna considerarli modi di agire sul presente». Come l’amore inetto e sterile, il mito mitizzato è funereo e castrante, immobilizza mentre è nato per sospingere. Il mito vivente deve dunque essere storia, società, uomo vero in carne e ossa. Dedichiamo la riflessione a quanti spesso hanno fatto di Brasillach, e di tutto quanto il Fascismo, la retorica degli imbelli e un cartone inanimato.
L’accademico di Francia Thierry Maulnier, nel 1964, paragonò la morte di Brasillach alla malattia del genio, quella che ne interrompe il volo, che inspiegabilmente spezza all’improvviso un destino attraverso la «stupida ferocia della storia». Come per Chénier o per Kleist, la morte per Brasillach è stata un annuncio: «attraverso la grazia e la tenerezza colma di tristezza del gesto con cui hanno accarezzato le forme visibili ed invisibili della vita: di quella vita che Robert amava troppo per rassegnarsi alla sua usura». Dunque il poeta Brasillach ha consapevolmente accettato la morte nel momento in cui si rese conto che, da un certo momento in poi, la sua vita si sarebbe logorata e sciupata. Lo si direbbe proprio un prescelto dagli dèi, che sono soliti infliggere ai sopravvissuti o ai posteri la condanna inespiabile di lunghe esistenze deprivate di grazia.
Le inquadrature da cui è possibile osservare oggi Brasillach sono quelle di un altorilievo neo-classico. Saint-Loup provò a sintetizzare: «Un essere tutto luce come lui non poteva sostenere il combattimento con armi comuni. Gliene occorrevano altre, più temprate di quelle degli Spartani che ammirava. Le ha trovate nel supplizio e la sua morte mira più alto della sua vita; il suo sacrificio conduce infinitamente più lontano della sua penna. Ha persino “trasfigurato” il fascismo che egli sosteneva». Una mistica di questo genere è il pane quotidiano per ogni religione. Perfino per quelle che predicano l’umiltà e sono tronfie, elogiano la povertà, ma vivono di sfarzo e di potere… Di mistica si nutrono i devoti, come dell’esempio cui rifarsi, del santo cui appellarsi. E poco importa se storicamente l’Idea ha prodotto contraddizioni, atroci disinganni, menzogne. Gli uomini vivono nel fango ma, ogni tanto, hanno bisogno di alzare lo sguardo e di pensare alto. Dura un attimo, ma conta. Come ogni religione che abbia mosso uomini alla milizia e al martirio di sé, anche il Fascismo ha i suoi santi. E Brasillach, mandato a morte mondo di peccato, conserva il suo alone di sorridente volontà di sacrificio. Non un “santino”, ma un uomo capace di assoluto. Giano Accame, invece, e con parole straordinariamente suggestive, ne fece un “inattuale”: «Perchè Drieu è attuale, Céline è ancora attuale, e Brasillach non lo è?». Scrisse che il suo ottimismo gli faceva un po’ pena, che le sue ingenue enfatizzazioni sul Fascismo e sul Nazionalsocialismo ne fecero un illuso. Un’anima semplice? Noi oggi, a tutto questo, vorremmo aggiungere l’elogio dell’ingenuo. Colui che rimane nel proprio gene. Che ne resta imbozzolato e non conosce l’altrove, bastando a se stesso. Wagner fece un poema dell’ingenuità di Sigfrido. E Parsifal non era forse un ingenuo? Quali figure, più di queste, richiamano alla mente la radicale opposizione col mondo moderno e con i suoi personaggi falsi, ottusi, materiali e gonfi di vuoto?
Brasillach ebbe la colpa di immaginare un mondo ribattezzato dal Fascismo come fosse una rivoluzione dello spirito, capace di rifare l’uomo dalla testa ai piedi. Parlando di Brasillach, Accame faceva del sarcasmo, alla sua maniera: «L’uomo nuovo che avevamo sognato non è diventato né migliore, come si sperava, né peggiore, come si temeva… abbiamo tirato fuori la testa dal disastro e ci siamo ritrovati adulti, sciatti, moralmente grigi, ma ben presto compiaciuti di noi stessi, dei nostri utensili, dei nostri guadagni, delle nostre ferie, sotto un cielo vuoto». Che terribile cantico al tracollo dello spirito poetico e che terribile denuncia circa il dilagare della più vile delle prose!
E poi è anche possibile che Brasillach fosse meno ingenuo di quanto pensiamo noi. Magari volle e si impose di essere poeta proprio perchè comprese alla perfezione che altrimenti sarebbe morto anche se avesse continuato a sopravvivere. Tra i non conformisti degli anni Trenta aleggiavano proiezioni e immaginative di cui noi oggi non possiamo comprendere che poche cose. Nella sua famosa Lettera a un soldato della classe ‘40, Brasillach in qualche modo ci spiega quanto poco fosse un illuso o un ingenuo. Il “caro ragazzo” a cui si rivolge è il giovane del dopoguerra e di tutti i dopoguerra. «Ti chiedo solo di non disprezzare le verità che noi abbiamo cercato, gli accordi che abbiamo sognato al di là di ogni disaccordo, e di conservare le due sole virtù alle quali io credo: la fierezza e la speranza».
Se pensiamo un attimo a quanto poco si aggirino per l’Europa mondializzata la fierezza e la speranza, si capisce che Brasillach non parlava il linguaggio etereo del metafisico con la testa tra le nuvole, ma quello concreto dell’uomo in cerca, sorretto dalla volontà di adornare l’esistenza di qualcosa, anche minima, per cui valga davvero la pena di essere vissuta. La fierezza e la speranza – ma non sarebbe un ottimo titolo per un libro postumo di Oriana Fallaci, certo ad altissima tiratura? – sono precisamente quelle cose di cui oggi manca completamente la povera Europa che ha fucilato Brasillach, colpendone ben più lo spirito che il corpo. Uomo tutt’altro che spaesato e abbandonato a sogni adolescenziali, Brasillach fu al contrario attento alla modernità, ne annusò certi segnali, ne apprezzò non poche manifestazioni, ne assaporò molti lati. Dal cinema alla musica jazz, al teatro, persino ai cartoni animati… e non gli fece difetto una “normalissima” inclinazione per la vita bella, suadente, rallegrante, esteticamente ricca e stimolante. E quando fu il momento, con la morte in faccia, mantenne quel sangue freddo che si addice più al navigato avventuriero che al semplice e al sognatore.
Noi gli perdoniamo facilmente di aver preso qualche memorabile “cantonata”. Non fu l’unico. Si tratta anzi di una regola storica. Rileggiamo volentieri le sue pagine visionarie, lisergiche, pregne di santa e sana allucinazione: via di fuga dalle miserie borghesi. Ripercorriamo insieme a lui l’arduo cammino di quanti furono per una lunga stagione al centro degli eventi e vi si tuffarono a capofitto secondo istinto. E confessiamo invidia per chi, come lui e molti della sua generazione, ha avuto in dono dal destino la possibilità di commettere anche grandi sbagli, potendosi dare l’aria di aver centrato il senso della storia. A noi è toccato in sorte di frugare tra gli avanzi degli altri, senza trovare nulla che non fosse avvilimento.
«Un accampamento di giovinezza nella notte, l’impressione di essere un tutt’uno con la propria Patria, il collegarsi ai santi e agli eroi del passato, una festa di popolo, ecco taluni elementi della poesia fascista, in cui è consistita la follia e la saggezza del nostro tempo. Ecco ciò, ne sono sicuro, cui la gioventù tra vent’anni, dimentica di tare e di errori, guarderà con oscura invidia e con inguaribile nostalgia…». Queste parole, effettivamente, nascondono un errore di valutazione. Ma non riguarda l’analisi del suo tempo, bensì la prognosi di quello a venire. Nessuno ha dimenticato le tare e gli errori, ma tutti ricordano soltanto quelli… e nessuno si azzarda a provare invidia o nostalgia per idee che, nel frattempo, lavorate a lungo da eserciti di termiti giganti, sono state ridotte a relitti terribili e a minacciose mostruosità.
Di Brasillach ci piacciono ancora e nonostante tutto e in faccia al mondo alcuni suoi fondamentali. L’Europa è uno di questi. Un asse latino-germanico, un pullulare di patrie e di identità rivendicate, un mito da agitare, e ancora oggi, e proprio nel momento in cui la parola “identità” è diventata una colpa e un insulto e al mito si affibbia la maschera tragica del delirio. Di Brasillach ci piace poi il suo anarchismo. La sua voglia mobile di raccontare storie di radicamento: «Voglio restare… restare nella tua ombra, ingannare l’attesa, il ricordo di avere atteso, sperare, attendere ancora…», fa dire a Berenice l’errante. Questo “restare” potrebbe diventare all’improvviso una parola d’ordine e un grido. Di pochi oppure magari di molti. Magnifica illusione o scelta pesante? Dopo tutto, lo aveva scritto ne I sette colori: «Ad altri gli entusiasmi della illusione, la certezza che mai ha dubitato di sé. Per noi, il nostro solo merito, in tutti i campi, è di esserci accettati, di avere scelto».