lunedì 17 gennaio 2011

Condiviso da Ipharra . Uomini in Carne e Ossa -Antonio Gramsci 8 Maggio 1921

Uomini in carne e ossa
di Antonio Gramsci
"L'Ordine Nuovo", 8 maggio 1921
Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica, dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese. 
 
Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato; si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne, discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno frame e freddo, che si commuovono a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne. 
 
Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili a una visione più reale, a una pratica più congrua e più adeguata allo svolgersi degli avvenimenti. 
 
Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui; oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente. La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi. 
 
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono, per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano, essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande che si impone ai sinceri e agli onesti. 
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Linea Ovest_Delenda Carthago_Pensieri.mpg

venerdì 14 gennaio 2011

FIAT Comunicazione CONFEDERATIO

Alla luce del referendum proposto alla base dei lavoratori della Fiat per sancire in definitiva la sconfitta ultima della rappresentanza sindacale che merita questa ingloriosa fine dal momento in cui ha accettato da oltre 40 anni di essere semplice parte in commedia quale “controparte” sociale la Confederatio – Confederazione Comunità di... Popolo richiede senza altre alternative il commissariamento “ad acta” dell’attuale consiglio di amministrazione dell’azienda automobilistica per provvedere alla socializzazione di una impresa che può essere considerata strategica per l’economia nazionale.
Solo attraverso un consiglio di amministrazione gestito in modo partecipato dalle rappresentanze dei lavoratori, dei tecnici, dei quadri, del capitale si può pensare di rendere possibile una organica partecipata comunione di intenti nell’ambito della reale collaborazione tra le categorie del lavoro e dell’impresa.
Sono inaccettabili le proposte “prendere o morire” come: aumento di 30 euro lordi mensili, elevate condizioni di stress da lavoro, aumento sconsiderato del monte straordinari retribuiti non a norma (tanto per citarne alcune), con l’alibi che addirittura negli Stati Uniti norme anche più gravi sono state accettate dai lavoratori. Anzi essa è una sonora presa in giro perché dimostra in modo palese che il “paradiso americano” dipintoci in questi ultimi sessanta anni dalla propaganda è in realtà l’ennesima truffa ai danni della civiltà del lavoro italiana ed europea.
Confederatio, indipendentemente dall’esito referendario promuoverà nei prossimi mesi una capillare informazione presso i lavoratori della Fiat ma non solo per riformulare il decreto legge sulla socializzazione delle imprese che a evento bellico concluso fu colpevolmente cancellato dall’intero C.L:N. con l’avallo anche dell’allora Partito Comunista su richiesta esplicita dell’occupante atlantico, in quanto dannoso esempio sociale di redistribuzione interclassista degli utili e dei profitti scaricando invece le perdite di esercizio sulla collettività attraverso i diversi e numerosi interventi statali perseguiti nel corso dei decenni “a difesa dell’occupazione”.
Infine Confederatio invita il sig. Marchionne cittadino apolide di nazionalità canadese a ritornare a breve a casa sua per manifesta incapacità a riconoscere la Storia e la Tradizione del nostro Popolo.
Le Associazioni Confederate.

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giovedì 13 gennaio 2011





La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi.
La nostra patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re.
La loro Patria, che cos'è? Lo capite voi?
Vogliono distruggere i costumi, l'ordine, la Tradizione.
Allora, che cos'è questa Patria che sfida il passato, senza fedeltà, senza amore?
...
Questa Patria di disordine e irreligione?
Per loro sembra che la Patria non sia che un'idea; per noi è una terra.
Loro ce l'hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida.
E' vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e che vogliono fondare sull'assenza di Dio...
Si dice che siamo i fautori delle vechie superstizioni...Fanno ridere!
Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori!
Siamo la gioventù di Dio.
La gioventù della fedeltà.
François de Charette

lunedì 10 gennaio 2011

TUNISIA , LA RIVOLTA DI POPOLO DILAGA

 «La chiusura di ogni spazio d'espressione non lascia che la rivolta e la strada come mezzo di contestazione - ha denunciato il principale partito d'opposizione algerino, il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) -. Davanti a una miseria dilagante, lo Stato risponde con il disprezzo, la repressione o la corruzione». «Quale che sia il risultato di queste proteste, avranno comunque contribuito al rafforzamento della resistenza cittadina e al discredito del sistema in vigore». Unanime la condanna degli altri partiti, tra cui la principale formazione algerina, il Fronte di Liberazione nazionale (Fln) e il Movimento della società per la pace (Msp, ex Hamas) che hanno denunciato «atti di violenza e vandalismo». Il ministro dell'Interno ha annunciato il pugno di ferro: «I tribunali saranno aperti e sono già stati coinvolti nei casi di giovani presi in flagrante reato di vandalismo o furto».

NASCE IL SITO DI CONFEDERATIO COMUNITA' DI POPOLO

CONFEDERAZIONE DELLE COMUNITA' DI POPOLO

10.01.11. INIZIA LA MARCIA

Come incipit al presente comunicato, indichiamo l’attivazione del sito ufficiale Confederatio – Confederazione Comunità di Popolo, il quale rappresenterà un ulteriore efficace strumento di aggregazione di Progetti e Volontà, i quali, nella assoluta autonomia delle varie identità associative, concordata in fase di creazione, potranno contare su un ulteriore spazio di libera espressione Comunitaria.
***
COMUNICATO DEL 10 GENNAIO 2011
La Confederazione nasce con la volontà di assumere in forma ufficiale all’esterno dell’area di polemiche sterili in rapporto ai reali bisogni del nostro Popolo e comunque estranea a qualsiasi aggregazione partitica e quindi alla colpevole logica del partitismo e della sua casta , peraltro irreparabilmente condannata all’estinzione come immorale prodotto del secondo conflitto bellico, un punto sinergico di riferimento per tutti gli Uomini Liberi.
E’ partendo da tale assunto realista che intendiamo operare non come stantia coalizione – o cartello di sigle – elettoralistica, ma come Avanguardia Politica e Umana concentrata in una azione di rinnovamento nel senso Etico del termine e sopratutto propositivo e progettuale, in rapporto alla imperativa necessita’ di disintegrare la complice polarita’ ideologica del Liberal-Capitalismo e della distruttiva utopia Marxista e i loro derivati.
Liberi da qualsiasi rigurgito restaurativo di essenziali esperienze consegnate alla Storia , non desideriamo negarne la traccia ideale, convinti che esperienze fondamentali quali Lo Stato Nazionale del Lavoro siano oggi applicabili oltre ogni limite di tempo e di contingenze evolutive.
Respingendo come Comunita’ una esistenza Politica relegata all’area nel contesto claustrofobicamente Nazionale  esigiamo un approccio attivo in termini Continentali e quindi Europei riconoscendo prioritaria la Liberazione d’Europa dalla oppressione Usurocratica apolide e Militare Anglo-Americana come strumento armato della globale colonizzazione Sionista.  E’ sulla base fondamentale di questa non negoziabile volonta’ di Resistenza che opereremo allo scopo di ottenere la ricusazione unilaterale del Trattato di Pace del 1947 che impone all’Italia un ruolo subordinato e servo.
Trattato che non si limita a sancire una occupazione culturale ,strategica ed economica ma si spinge ad una tattica distruttiva ai danni della coesione stessa della nostra “Gentes” e del senso identitario che nel principio di Sangue e Suolo trova la sua massima espressione.
Gridiamo pertanto con forza la nostra volontà di divenire bussola per tutti coloro pronti ad EVADERE dalla “colonia italya” e da “eurolandia” per ritornare ad essere realmente Uomini Liberi della Nazione Italica in una libera confederazione di Libere Nazioni di Uguali.
Ecco perché CONFEDERATIO; ecco perché Confederazione Comunità di Popolo !
Senza infingimenti, senza mascheramenti, senza infantili velleità anacronistiche ma con tutto il dinamismo di uomini di Pensiero ed Azione. Chi ci vorrà seguire sarà ben accolto senza richieste di carta d’identità purché abbia compreso chi é realmente il  NEMICO.
Le Associazioni Confederate.
I commenti sono chiusi.

APERTURA UFFICIALE DEL SITO WEB CONFEDERATIO E COMUNICATO

Come incipit al presente comunicato, indichiamo l’attivazione del sito ufficiale Confederatio – Confederazione Comunità di Popolo, il quale rappresenterà un ulteriore efficace strumento di aggregazione di Progetti e Volontà, i quali, nella assoluta autonomia delle varie identità associative, concordata in fase di creazione, potranno contare su un ulteriore spazio di libera espressione Comunitaria.
***
COMUNICATO DEL 10 GENNAIO 2011
La Confederazione nasce con la volontà di assumere in forma ufficiale all’esterno dell’area di polemiche sterili in rapporto ai reali bisogni del nostro Popolo e comunque estranea a qualsiasi aggregazione partitica e quindi alla colpevole logica del partitismo e della sua casta , peraltro irreparabilmente condannata all’estinzione come immorale prodotto del secondo conflitto bellico, un punto sinergico di riferimento per tutti gli Uomini Liberi.
E’ partendo da tale assunto realista che intendiamo operare non come stantia coalizione – o cartello di sigle – elettoralistica, ma come Avanguardia Politica e Umana concentrata in una azione di rinnovamento nel senso Etico del termine e sopratutto propositivo e progettuale, in rapporto alla imperativa necessita’ di disintegrare la complice polarita’ ideologica del Liberal-Capitalismo e della distruttiva utopia Marxista e i loro derivati.
Liberi da qualsiasi rigurgito restaurativo di essenziali esperienze consegnate alla Storia , non desideriamo negarne la traccia ideale, convinti che esperienze fondamentali quali Lo Stato Nazionale del Lavoro siano oggi applicabili oltre ogni limite di tempo e di contingenze evolutive.
Respingendo come Comunita’ una esistenza Politica relegata all’area nel contesto claustrofobicamente Nazionale  esigiamo un approccio attivo in termini Continentali e quindi Europei riconoscendo prioritaria la Liberazione d’Europa dalla oppressione Usurocratica apolide e Militare Anglo-Americana come strumento armato della globale colonizzazione Sionista.  E’ sulla base fondamentale di questa non negoziabile volonta’ di Resistenza che opereremo allo scopo di ottenere la ricusazione unilaterale del Trattato di Pace del 1947 che impone all’Italia un ruolo subordinato e servo.
Trattato che non si limita a sancire una occupazione culturale ,strategica ed economica ma si spinge ad una tattica distruttiva ai danni della coesione stessa della nostra “Gentes” e del senso identitario che nel principio di Sangue e Suolo trova la sua massima espressione.
Gridiamo pertanto con forza la nostra volontà di divenire bussola per tutti coloro pronti ad EVADERE dalla “colonia italya” e da “eurolandia” per ritornare ad essere realmente Uomini Liberi della Nazione Italica in una libera confederazione di Libere Nazioni di Uguali.
Ecco perché CONFEDERATIO; ecco perché Confederazione Comunità di Popolo !
Senza infingimenti, senza mascheramenti, senza infantili velleità anacronistiche ma con tutto il dinamismo di uomini di Pensiero ed Azione. Chi ci vorrà seguire sarà ben accolto senza richieste di carta d’identità purché abbia compreso chi é realmente il  NEMICO.
Le Associazioni Confederate.

Eva Braun . . . Una Vita

EUROPA ULTIMO CANTO

EVROPA ULTIMO CANTO.

Per gentile concessione del qotidiano RINASCITA riproponiamo una interessante recensione di Silvia Garneri Sequi riguardante una produzione poetica di un nostro iscritto a cui va tutto il nostro plauso. Invitiamo chiunque ad acquistare il libro:
UNO è lo pseudonimo di un lavoratore pugliese che predilige, da sempre, anteporre l’opera all’autore. Con questo attivismo impersonale non ha nessun tentativo di celarsi, perché UNO rappresenta se stesso, un sé che fa parte del tutto.
La sua opera “IL VUOTO. Emozioni, pensieri, parole”, edita da Edizioni del Grifo, rappresenta e descrive il percorso di un uomo, di uomo “integrale” inteso non nell’accezione attuale dell’uomo “economico”, bensì di uomo in quanto figlio, padre, lavoratore.
Il percorso di questo uomo, fortemente ed intimamente europeo, racchiude numerosi aspetti che toccano l’evoluzione dell’uomo, passando per ideali politici e sentimenti d’amore.
La poesia “EVROPA, ultimo canto”, rappresenta un inno perché ciò che è stato possa ritornare ad essere: dallo smarrimento e dalla confusione attuali, l’augurio è che l’Europa possa rinascere. E l’Europa è intesa nell’accezione più nobile del termine, quindi la sua storia razziale, etnico-culturale e spirituale. Per il Nostro, l’Europa rappresenta la casa spirituale, la sua essenza più intima. Nella poesia “Verrà l’america”, si avverte un grido di dolore per la nostra anima che si sta americanizzando, e l’america rappresenta la sentinella che lancia l’allarme.
In mezzo a queste due poesie si inserisce “IL VUOTO”, che fa riferimento ad una mancanza, ad una privazione perché “ci hanno alienati dalla nostra visione spirituale del mondo” ma, nonostante questa privazione, “il vuoto” si trasforma in un augurio. Le sue poesie auto-esplicative richiamano immagini, e queste immagini sono impregnate di sentimento per l’identità e l’essenza europea.
“Nauta” richiama un percorso da comunista, vissuto, sviscerato. Ma quelle idee non ti appartenevano, eppure dovevi comunque farle tue, per poi comprendere che non le sentivi intimamente dentro di te. Perché bisogna imparare vivendo, scegliendo, errando a volte. E dagli errori elaborati e metabolizzati, con le giuste correzioni apportate, si ritorna ad una visione del mondo, quella dell’Europa agli Europei, con tutta l’energia spirituale che la e li caratterizza.
In “Assorbiti” si evince quanto l’ideologia dominante imperi sul libero pensiero, e quindi l’attenzione sia tutta rivolta all’apparire piuttosto che all’essere. La poesia “Beograd’s people”, descrive il bombardamento delle “intelligenti” bombe della Nato sulla popolazione serba. Il Nostro, durante un servizio di un telegiornale, ha assistito alle ciniche domande di un giornalista che domandava ad un cittadino serbo la sensazione che stava provando in quel momento drammatico, “quando cadono le prime bombe, si resta allibiti, rabbia e paura affollano l’io. Ma si può far poco, se non guardare da una panchina nel parco, le colonne d’acqua che si alzano dal fiume, quando, non centrano ponti o case, le bombe”.
L’Autore ha avvertito una sensazione di protezione del popolo serbo nei confronti del proprio futuro, e quindi dei propri figli perché possano crescere liberi, liberi di realizzarsi secondo la loro Essenza. “Perché i nostri figli rappresentano il nostro futuro, e questo vale per i popoli di tutto il mondo”.
IL VUOTO
Emozioni, pensieri, parole
UNO
Edizioni del Grifo – edizionidelgrifo@gmail.com  tel/fax 0832454358
Euro 10,00 se ordinato in qualsiasi libreria dando i riferimenti della casa editrice oppure richiedendolo a loro direttamente per mail o fax – con l’aggiunta di Euro 8 per spese di spedizione – in contrassegno.

giovedì 6 gennaio 2011

Sonia Michelacci- IL COMUNISMO GERARCHICO

Il libro di Sonia Michelacci Il comunismo gerarchico è l’opera più esaustiva pubblicata in Italia sulla concezione della proprietà privata nel fascismo italiano e nel nazionalsocialismo tedesco. Il prof. Luigi Lombardi Vallauri rileva nella prefazione che questo libro «consente al profano colto di evocare dibattiti e contesti non obsoleti, scivolati giù nei flutti dell’oblio un po’ per motivi ideologici, un po’ per la tendenza degli storici a lasciare ultimi i temi giuridici». In effetti Sonia Michelacci ha svolto un lavoro davvero prezioso per quanti vogliono approfondire l’argomento. Partendo dalla Carta del Lavoro del 1927, l’autrice esamina il dibattito che si svolse attorno al tema della proprietà privata negli anni del regime fascista. Il principio di totalità sociale che stava alla base del fascismo implicava un ridimensionamento del diritto alla proprietà privata che sfociava nel vincolo della funzione sociale della proprietà, per cui il proprietario non doveva limitarsi a godere del bene che possedeva, ma doveva utilizzarlo per sviluppare la ricchezza e le possibilità di lavoro. Questa concezione della proprietà aveva antecedenti nel pensiero cattolico, la cui notevole influenza nella cultura italiana non mancò di pesare sul dibattito in corso. Già Tommaso d’Aquino aveva individuato nella proprietà una natura personale per quanto riguarda l’acquisto, e una natura comune per quanto riguarda l’uso. Ancora alla fine del XIX° secolo, Leone XIII°, sebbene con mentalità più «borghese» considerasse la proprietà privata come un diritto di natura, scrisse nella Rerum novarum: «l’uomo non deve avere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi nelle altrui necessità». In seguito, nel convegno di Ferrara del 1932, Ugo Spirito formulò la tesi della «corporazione proprietaria», ovvero un superamento dell’economia individualista che doveva trasformare il diritto di proprietà in senso pubblicistico, nell’affermazione del superiore valore etico della rivoluzione fascista. La tesi di Spirito, bollata come «eretica», e sospetta di simpatie «bolsceviche», venne accantonata, e nel codice civile del 1942 si affermò una concezione borghese e individualista della proprietà privata, anche se lo stesso Mussolini nei suoi scritti espresse una certa insoddisfazione in merito.
La seconda parte del libro è dedicata agli sviluppi che il tema ha avuto nel periodo della Repubblica di Salò. Nella RSI il fascismo attuò la sua originaria vocazione anticapitalista, e nei punti del Manifesto repubblicano di Verona si legge: «la proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro»; inoltre si sanciva il diritto alla casa per tutte le famiglie. In quest’ultima fase del fascismo, quindi, ci fu spazio per una rivincita delle idee di Ugo Spirito. In particolare fu attuata la socializzazione delle imprese, che prevedeva la ripartizione degli utili da parte dei lavoratori, e il loro coinvolgimento nei consigli di fabbrica, sempre in un contesto di valorizzazione della personalità umana che segna una distanza incommensurabile dal collettivismo marxista. A testimonianza di quanto fossero pericolose queste riforme per le ideologie di sinistra, l’autrice ricorda che, quando furono indette le votazioni per eleggere i rappresentanti degli operai alla F.I.A.T., il Partito Comunista Italiano minacciò di morte i lavoratori che avessero aderito all’iniziativa, ottenendo il risultato di far disertare le urne e guadagnandosi i ringraziamenti della famiglia Agnelli. Inoltre, non appena la guerra finì, il C.L.N.A.I., pur essendo egemonizzato da elementi di formazione socialista e comunista, decretò immediatamente l’abolizione della legge sulla socializzazione delle imprese. Così le ideologie liberali e quelle marxiste, partorite entrambe dall’illuminismo, si incontrarono in un fraterno abbraccio, per poi far finta di scontrarsi in modo da dar luogo a quella farsa che si chiama «democrazia».
La terza parte del libro è dedicata alla concezione della proprietà privata nel Nazionalsocialismo tedesco. La NSDAP si caratterizzò fin dall’inizio come un fenomeno di etno-nazionalismo radicale, senza le ambiguità borghesi che avevano caratterizzato il fascismo. Pertanto in Germania si fece strada una concezione della proprietà in cui il diritto soggettivo del singolo veniva ridotto a mera posizione giuridica: la posizione di possibilità del singolo colto nella sua funzione di membro della comunità. Il proprietario viene quindi valutato non come soggetto di diritto, ma come membro della Volksgemeinschaft. Werner Sombart definì efficacemente il nuovo concetto di proprietà privata con queste parole: «il diritto di proprietà non determina più le direttive dell’economia; ma sono queste a determinare l’ampiezza e la specie del diritto di proprietà». Nel Nazionalsocialismo lavoratori e datori di lavoro facevano parte di un’unica organizzazione nella quale formavano una comunione di popolo-nazione-razza volta al superamento della lotta di classe. Ai lavoratori dipendenti si riconosceva il diritto alle ferie per la prima volta sancite per contratto, e il divieto di licenziamento senza giusta causa. L’attacco nazionalsocialista era diretto alla proprietà creditizia, che non è frutto del lavoro, bensì dell’usura: in questo modo si mirava a liberare il popolo dalla schiavitù dell’interesse in cui lo aveva gettato l’alta finanza ebraica. Si vede anche in questo caso quanto lontane fossero queste concezioni da quell’ideale marxista dell’invidia, che in teoria dovrebbe dare a tutti in uguale quantità, ma che in realtà non dà niente a nessuno, perché soffoca il valore della personalità a pregiudizio di tutti. Infine, di particolare interesse, nella legislazione nazionalsocialista era l’istituto dell’Erbhof, ossia il bene agricolo ereditario per i contadini di pura razza germanica, bene indivisibile, inalienabile e impignorabile, volto al mantenimento della comunità di Terra e Sangue radicata sul territorio; l’Erbhof, integrato da norme di evidente ispirazione feudale, era un fondamentale strumento giuridico per affermare un’idea organica di totalità sociale.
L’ottimo lavoro di Sonia Michelacci è una lettura particolarmente utile nell’epoca di turbocapitalismo devastante che caratterizza la globalizzazione. Sebbene siano mutate molte delle condizioni sociali in cui si svilupparono le idee esposte nel libro, il dibattito attorno al senso della proprietà privata può trarre molti spunti utili da questo brillante studio.
* * *
Sonia Michelacci, Il comunismo gerarchico, Edizioni di Ar, Padova, 2004, pp.196, euro 20,00.
Il comunismo gerarchico

IDEOLOGIA BORGHESE DEL LAVORO


Nata col sorgere dei Comuni italiani e sviluppatasi con la Riforma protestante e con la rivoluzione industriale, l'ideologia borghese del lavoro è servita sostanzialmente a due cose:
  1. a togliere al passato pre-borghese qualunque giustificazione, qualunque pretesa, nel senso che il passato merita d'essere ricordato solo nella misura in cui si pone come nostra prefigurazione. Anche quando s'incontrano, in talune civiltà, manufatti altamente sofisticati, prodotti in condizioni di lavoro assolutamente imparagonabili rispetto alle nostre, nessun borghese si sogna di ritenere che noi non si sappia riprodurre quegli stessi manufatti, e di farli anzi anche meglio. Noi possediamo una scienza e una tecnica con cui pensiamo di poter fare ciò che vogliamo;
  2. a considerare priva di significato una qualunque operazione mentale non strettamente inerente a un processo produttivo. Cioè una qualunque attività politica o culturale che non possa in qualche modo rivelarsi utile all'incremento della produzione e quindi del profitto, viene semplicemente equiparata a una perdita di tempo.
Il materialismo economico, per quanto mistificato possa essere dall'ideologia dei diritti umani (ivi inclusi i valori religiosi) e da quella, ad essa correlata, della democrazia parlamentare, resta il criterio fondamentale della prassi borghese. Storicamente la borghesia è riuscita a fare del lavoro un idolo, soltanto per superare le posizioni di rendita delle classi nobiliari, ma, poiché il lavoro che propagandava era soltanto il diritto di sfruttare il lavoro altrui, la borghesia non ha fatto altro che usare il lavoro come strumento ideologico per sostituire il dio cristiano con un nuovo idolo: il capitale, che si autoincrementa grazie al profitto (mentre nel Medioevo la credenza nel dio cattolico veniva incrementata da scomuniche, crociate e persecuzioni d'ogni genere).
Il materialismo economico borghese è dunque una forma di ateismo volgare, che di "scientifico" non ha e non può avere nulla, avendo la borghesia bisogno anche della religione per imbonire le masse superstiziose e clericali.
Qualunque interpretazione si voglia dare al concetto di lavoro, non si deve mai mettere in discussione - di questo sistema - la necessità dello sfruttamento. Dunque non il proprio lavoro ma il lavoro altrui serve per arricchirsi. Il lavoro non è anzitutto il modo per sostenersi e riprodursi, ma è lo strumento per esercitare in forma arbitraria il proprio individualismo.
Prima della società borghese, per poter vivere di rendita, bastava essere proprietari di terre, aver avuto dei trascorsi militari, con cui s'era riusciti a strappare delle proprietà immobiliari al "nemico" di turno.
Viceversa, vivere di rendita, con la nascita della società borghese, poteva voler dire soltanto una cosa: utilizzare i capitali ottenuti dal commercio allestendo delle imprese produttive, in cui la proprietà dei mezzi lavorativi fosse tenuta rigorosamente separata dall'uso della forza-lavoro degli operai salariati.
Oggi vivere di rendita vuol dire offrire credito finanziario a quelle imprese che in taluni paesi del Terzo Mondo, cercano di arrivare ai nostri stessi livelli, sfruttando enormemente il lavoro dei propri operai e devastando i propri ambienti naturali. Cosa che però, se si escludono pochi casi, sembra non avere molto successo, proprio perché il capitalismo non è solo una tecnica produttiva disumana, ma anche una forma mentis del tutto innaturale, che distrugge le relazioni sociali, per l'acquisizione della quale occorre il suo tempo.
Nella propria ideologia del lavoro, la borghesia non ha mai preso le difese né dei contadini, che anzi ha voluto trasformare in "schiavi salariati", né degli artigiani, le cui corporazioni ha voluto far chiudere in nome della libertà d'impresa e d'iniziativa individuale. Eppure contadini e artigiani erano la stragrande maggioranza dei lavoratori durante il Medioevo.
In nome del lavoro la borghesia non ha mai chiesto di democratizzare i rapporti di sfruttamento rurali e, quando lo ha chiesto, è stato solo per far diventare "borghesi" gli stessi contadini o agrari che ne avessero avuto mezzi e capacità.
La borghesia è riuscita a convincere il mondo intero ch'essa era l'unica classe veramente produttiva, quando in realtà il suo unico scopo era quello di potersi sostituire all'aristocrazia partendo da una condizione svantaggiata, quella di chi non possiede la proprietà della terra.
Sicché oggi è divenuta dominante una concezione di "lavoro" che di "umano" non ha assolutamente nulla, proprio perché le fondamenta su cui poggia sono le stesse di quelle dell'aristocrazia di ieri, e cioè lo sfruttamento di chi non ha altri mezzi di sostentamento che la propria forza-lavoro. L'unica differenza è stata che, per vincere il monopolio della terra, la borghesia ha dovuto fare affidamento ai capitali e alla rivoluzione tecnologica, servendosi peraltro proprio di quel culto astratto della persona umana predicato dal cristianesimo, specie nella sua versione protestantica.
L'altra ovvia differenza sta nel fatto che l'accumulo di capitali, a differenza di quello delle derrate alimentari, non può incontrare alcuno ostacolo materiale, essendo il denaro il valore equivalente di ogni altra merce.
Oggi, se vogliamo reimpostare il concetto di "lavoro", dobbiamo partire dal presupposto che non possono essere dei parametri meramente economici a dargli un senso qualificante. Quando la borghesia parla di "valore delle cose", intende sempre qualcosa di quantitativo che va calcolato. La stessa parola "economia", per la borghesia, implica qualcosa di meramente matematico, statistico, finanziario...
Quando nella parola "economia" vengono inclusi gli aspetti "sociali", questi sono visti soltanto come un costo, un onere dovuto alla resistenza che i lavoratori pongono nei confronti dello sfruttamento.
Una qualunque ridefinizione del concetto di "lavoro" oggi va vista nella prospettiva di dare al sociale un primato sull'economico (anche per uscire dall'insopportabile cinismo che equipara il "valore" di una cosa al suo "prezzo"), quel sociale p.es. nei cui confronti non ci si può azzardare di considerare "improduttive" o "meno produttive" talune categorie di persone (bambini, studenti, casalinghe, pensionati, anziani, disabili, malati mentali ecc.).
Peraltro, è proprio la società borghese che, pur avendo tanto osannato il lavoro, crea continuamente giganteschi apparati di persone materialmente improduttive, come i burocrati, i militari, gli intellettuali, i politici ecc., di molto superiori, numericamente, a quelle produttive in senso proprio (operai, artigiani, agricoltori, edili ecc.).
Non solo, ma se il sociale deve di nuovo contare più dell'economico, nell'ambito del sociale vi è un altro aspetto che deve avere più importanza dell'economico, ed è l'ecologico. Non esiste democrazia nel sociale senza rispetto delle esigenze riproduttive della natura. Che l'economia borghese non sia democratica, lo si vede dal disprezzo in cui tiene non solo l'essere umano, produttivo o improduttivo che sia, ma anche la natura, considerata una risorsa da sfruttare senza ritegno, fino al suo totale esaurimento.
Non c'è altro modo di superare questo concetto borghese di "lavoro" che tornare indietro. Certo non al Medioevo, in cui il lavoro era definito come "servaggio"; ma neppure all'epoca della nascita dei Comuni, poiché proprio a partire da quel momento è nata la dipendenza dell'agricoltura dalla città e la prima trasformazione del servo della gleba in operaio salariato.
Dobbiamo tornare ancora più indietro, al tempo delle società pre-schiavistiche, al Neolitico, al tempo in cui l'agricoltura e l'allevamento erano gestiti dalle comunità di villaggio. Cioè all'epoca in cui tutto era di tutti, senza proprietà privata dei mezzi produttivi, in cui dominava l'autoproduzione e l'autoconsumo. (1)
L'unica cosa che bisogna cercare di non ripetere del Neolitico - almeno per come essa si sviluppò nella cosiddetta "Mezzaluna fertile" e in altre aree geografiche che gli storici sono soliti definire col termine di "civiltà fluviali" - è l'uso strumentale delle eccedenze, cioè il fatto che, ad un certo punto, in virtù di esse, il villaggio si trasformò in città-stato, producendo tutti quegli annessi e connessi (classi privilegiate, specializzazione del lavoro, uso politico della religione, legge del valore, colonialismo ecc.) che ancora oggi caratterizzano la nostra civiltà avanzata.
Questo perché se una qualunque eccedenza rischia inevitabilmente di portare alla creazione di una società divisa in classi contrapposte, allora dobbiamo dire che l'unico modo per restare "umani" è quello di tornare al Paleolitico.
(1) E' singolare che i paesi del Terzo Mondo, anche quando intenzionati a cercare un'alternativa al capitalismo, non riescono a vedere nelle ultime vestigia di queste civiltà pre-schiavistiche, che pur da loro sono ancora presenti, una risorsa da valorizzare e non un problema da risolvere.
II
Cosa vuol dire "lavorare"? Un commerciante che acquista un prodotto da un agricoltore e lo rivende sul mercato, è un "lavoratore"? Se l'acquirente andasse direttamente dal produttore, sentiremmo la mancanza di un "rivenditore"?
Nel Medioevo consideravano i mercanti degli imbroglioni, di cui sicuramente era meglio non fidarsi: si sapeva infatti che speculavano di molto su quanto vendevano, approfittando del fatto che l'acquirente non poteva conoscere il prezzo d'origine della merce, quello che lo stesso mercante, andando in oriente, aveva pagato per ottenerla.
Lavorare infatti non può significare "rivendere", a meno che chi compra non ne abbia una necessità vitale. Non a caso nel Medioevo vigeva il baratto: lo scambio delle cose presupponeva che entrambe le parti conoscessero il tempo e i mezzi impiegati per produrle, la fatica occorsa ecc. Si barattavano cose reciprocamente prodotte o trasformate. La moneta, negli scambi, veniva usata dalle persone facoltose e solo per merci rare e preziose.
Il mercante ovviamente si giustificava dicendo che il suo era un "lavoro" importante, in quanto doveva viaggiare molto, avere molte conoscenze, rischiare beni personali ecc.
Tuttavia era anche una sua scelta: nessuno ve lo obbligava. In campagna le unità produttive erano del tutto autosufficienti, e chiunque avrebbe potuto pensare che quando un contadino si trasformava in mercante, lo faceva perché detestava il servaggio o perché voleva arricchirsi a spese altrui.
Nel Medioevo i lavori fondamentali erano quelli agricoli e artigianali; persino la caccia e la pesca e la raccolta di radici bacche erbe miele selvatico, ch'era il lavoro fondamentale nel Paleolitico, venivano praticate nei tempi morti dell'agricoltura o, la sola caccia, dai "signori" come passatempo.
Nel Medioevo il lavoro era contrapposto all'ozio dei possidenti terrieri, come il servaggio alla rendita. Gli agrari vivevano approfittando del fatto che i loro avi, in un lontano passato, avevano usato la forza militare per impadronirsi di determinati territori: era la terra il simbolo della ricchezza. Soltanto dopo aver conquistato questi territori, costruirono le mitologie delle ascendenze aristocratiche, elaborarono la legge del maggiorasco ecc., proprio allo scopo d'impedire che i patrimoni si frantumassero o finissero in mani sbagliate.
La borghesia mercantile nacque per reagire proprio a una situazione bloccata, in cui era praticamente impossibile arricchirsi seguendo le vie legali. O si restava servi della gleba tutta la vita o si doveva cercare fortuna in maniera non convenzionale (a meno che uno non accettasse la carriera ecclesiastica). E quando la fortuna, coi commerci, veniva fatta, il borghese doveva poi convincere il contadino a lavorare per lui, non come contadino, ovviamente, ma come artigiano, o meglio, come operaio salariato. E a quel tempo il modo più veloce d'arricchirsi, con un'impresa produttiva, era quello di dedicarsi al tessile.
Quando il contadino scinde il suo lavoro in due mansioni diverse, agricola e artigianale, può anche nascere la città: qui infatti possono trasferirsi gli operai che servono alla borghesia per arricchirsi (possono abbandonare il feudo e respirare l'aria "libera" della città).
Gli stessi artigiani possono diventare imprenditori di loro stessi, con alle dipendenze molti garzoni o apprendisti o lavoranti che non hanno mezzi sufficienti per mettersi in proprio. Gli artigiani fanno presto ad arricchirsi e a diventare una casta, specie quando il frutto del lavoro dipende da conoscenze specializzate, che pochi possono avere.
L'edificazione di una città non comportava la libertà per tutti ma solo l'illusione d'averla: di fatto era libero solo chi disponeva già di capitali e voleva aumentarli, oppure disponeva di terre i cui prodotti voleva cominciare a vendere proprio per soddisfare una domanda proveniente dalle città (p.es. la lana, che comportò la trasformazione di molti agricoltori in pochi e semplici pastori).
Naturalmente non mancava chi andava in città sperando di emanciparsi dalla condizione servile del passato, propria o dei propri parenti. E per riuscirvi aveva bisogno di dar fondo a tutte le proprie risorse, intellettuali, comportamentali, comunicative, psicologiche... Si trattava soprattutto di modificare la propria passata mentalità.
Il borghese infatti rappresenta la persona astuta, senza tanti scrupoli, in grado facilmente di simulare e dissimulare, sostanzialmente atea, anche se formalmente religiosa, attaccatissima al denaro e disposta a vendere l'anima pur di accumularne il più possibile. Non si diventa borghesi accontentandosi del poco o restando sottomessi, né affidandosi al caso o alla fortuna, né sperando nella benevolenza dei potenti.
Il borghese è un individualista per definizione, che si vanta d'essersi fatto da solo, e non accumula solo per avere il potere economico, ma anche per quello politico.
Il borghese deve arrivare alla convinzione che la ricchezza è unicamente dipesa dalle proprie capacità e deve trasmettere questa convinzione al pubblico, illudendolo che la ricchezza in generale è alla portata di chiunque.
Esiste solo uno stile di vita peggiore di quello borghese, e ne abbiamo avuto un assaggio con lo stalinismo. E' lo stile di vita dell'intellettuale di partito e del funzionario di Stato, che si costituisce come casta privilegiata, sfruttando il lavoro di tutti. Attraverso lo strumento dell'ideologia e dello Stato (e quindi non del vile denaro), il partito diventa una sorta di sfruttatore collettivo.
Oggi, in forza di queste sconfitte storiche del capitalismo e del socialismo amministrato, possiamo dire che il lavoro può acquisire un carattere democratico solo se chi lo compie ha la percezione della sua utilità sociale e la convinzione che questa utilità gli viene riconosciuta e la certezza di non essere soggetto ad alcuna forma di sfruttamento.

martedì 4 gennaio 2011

"Vittoria e Sconfitta sono nelle mani del Signore ma del tuo onore solo tu sei Signore e Re"
Frase riportata su una famosa incisione raffigurante il cavaliere, la morte e il diavolo,
ispirata a quella notissima di Albrecht Dürer
                             DIVERSI e LIBERI
                  MEMORIA DI UNA LINEA DI SANGUE