mercoledì 11 luglio 2012

LA "MIGRAZIONE DORICA"




Il nucleo dei Veda doveva già esistere, almeno come tradizione orale, quando il processo d’indoeuropeizzazione dell’Europa tocca il suo apice, quello che prelude immediatamente al sorgere del mondo greco-romano.

È la cosidetta «migrazione dorica» ossia quel movimento di popoli del Nord – caratterizzati dai loro Urnenfelder – che spinge in Grecia i Dori, avvia le migrazioni italiche nella penisola appenninica e causa la irradiazione dei Celti in tutta l’Europa dell’Ovest.


Incisioni rupestri di Tanum, Bohuslän, Svezia.
La presenza dell’incinerazione in questa seconda e risolutiva ondata indoeuropea ci introduce a un nuovo avvenimento spirituale che si colloca sempre nel solco del simbolismo solare e della «negazione della Madre».

L’incinerazione ha antiche radici nell’Europa-Centrale, ma solo alla fine dell’età del bronzo raggiunge quella espansione e quella compattezza che ci metton di fronte a una nuova visione della vita. È un rituale tipicamente uranico, orientato verso il cielo e la luce. La purificazione dello spirito dal peso della terra e la sua liberazione in pura sostanza di fuoco trovano un’eco precisa in una nuova fioritura del simbolismo celeste.

Il cerchio solare, la croce celtica, il disco puntato, la ruota raggiata traversano tutta l’Europa tra quei due grandi centri di riferimento che sono le incisioni rupestri del Bohuslän e quelle della Valcamonica. Allo stesso modo, dalla Svezia all’Italia – partendo da un focolare mitteleuropeo – fa la sua comparsa il motivo del cigno astrale, destinato a perpetuarsi fino alla leggenda di Lohengrin e del Graal. Il motivo dei due cigni affiancati che tirano la nave del sole, le protome di cigno stilizzate a 5, sono una delle più caratteristiche manifestazioni della cultura dei campi d’urne e ne accompagnano l’espansione giù giù, fin nel Lazio.

Il carro solare – questa volta trainato da un cavallo – è emerso in una palude della Danimarca a confermare la veridicità del mito ellenico dell’Apollo dimorante nel paese degli Iperborei.

Significativamente, nelle incisioni rupestri della Svezia e della Valcamonica, accanto al moltiplicarsi degli standars solari e di divinità maschili, vi è una rimarchevole assenza delle figurine femminili:

«Manca la fanciulla, così come la madre e la partoriente; manca l’immagine del piccolo animale che sugge il latte, immortalato sia a Creta che in Egitto in indimenticabili figurazioni. È un’anima radicalmente diversa quella che si esprime in queste incisioni rupestri nordiche e italiche. All’antico mondo mediterraneo, col suo naturalismo femminile, si contrappone una cultura tipicamente virile. Essa si apre una via verso il Sud» (Altheim, Italien und Rom, Amsterdam und Leipzig 1940, S. 25-26).

Un’assenza che ha un preciso valore indicativo circa il contenuto spirituale della «migrazione dorica». È un contenuto che verrà presto alla luce sia nel pantheon olimpico che nello stile di vita asciutto e severo del doricismo e della romanità.

Intorno al 950 circa, la grande migrazione è finita: nel Peloponneso ci sono ormai i Dori e sui Colli Albani i Latini. L’ethnos italico ed ellenico, saturo di elementi nordici, si prepara alla grande stagione della civiltà classica. Dalla Grecia all’Italia si diffonde una nuova costellazione simbolica la cui stella polare è la svastica – ripetuta centinaia di volte sia sui vasi del cosidetto « periodo geometrico », sia sulle urne a capanna del Lazio.

La preistoria è finita. Sull’Ellade albeggia l’aurora omerica. Significativamente, quando il primo popolo indoeuropeo d’Europa incomincia a parlare, il suo messaggio è quello della religione olimpica.

Di duemilacinquecento anni di preistoria religiosa europea, una parola ci è rimasta: *dyeus.

È il nome della Divinità: Juppiter – da Dius-pater (gen. Iovis, dat. Iovii) tra i Latini; Zeus (gen. Diòs) tra gli Elleni; Dyaus in India; Tyr o Ziu nel mondo germanico. È il nome del dio supremo e – al tempo stesso – quello del cielo divino in tutta la sua luce e tutto il suo splendore.

È questa una importante scelta spirituale: gli Indoeuropei, la razza nordica, gli europei sono il popolo di *dyeus, il popolo della luce. Il popolo destinato a portare il lògos, la legge, l’ordine, la misura. Il popolo che ha divinificato il Cielo di fronte alla Terra, il Giorno di fronte alla Notte, la razza olimpica per eccellenza.

È una scelta destinata a segnare un orientamento di millenni: l’ordine, nel mondo, è opera dell’uomo bianco.

Ma il Giorno, *dyeus, è – al tempo stesso – il Padre. Juppiter, Zeus patér, Dyaus pitàr sono termini che si pronunciano l’uno nell’altro.

L’ordine della luce è un ordine maschile. Non l’ordine della Madre – confondente tutto e tutti in una pacifica promiscuità, e che sta al di qua della civiltà come noi la concepiamo:

«Dal principio della maternità generatrice scaturisce il senso della universale fratellanza di tutti gli esseri, senso che declina e non trova più risuonanze con l’avvento del principio della paternità. La famiglia incentrata nel patriarcato è conchiusa come un organismo individuo, quella matriarcale conserva invece quel carattere tipicamente universalistico che si ritrova nei primordi. Da esso procede quel principio di universale eguaglianza e libertà, che noi spesso ritroviamo come tratto fondamentale dei popoli ginecocratici, insieme alla filoxenìa (simpatia per gli stranieri) e ad una decisa insofferenza per ogni specie di limiti e restrinzioni; infine, non diversa origine ha l’esaltazione del sentimento d’una generale parentela e di una simpatia, synpàtheia – che non conosce limiti… » (Bachofen, Le madri e la virilità olimpica, Milano 1949, pg. 34-35).

Il genio spirituale indoeuropeo – quale si manifesta fin nei primordi, sta appunto nel rifiuto di questa fratellanza promiscua del regno della Madre. Contro la promiscuità stanno la Famiglia e lo Stato, contro la fratellanza universale e bastarda la stirpe e la razza.

Contro il livellamento sta l’Ordine – come principio di differenziazione luminoso. L’Ordine solare del giorno, l’ordine di *dyeus, quale si trova simboleggiato nella svastica, primordiale simbolo della luce .

Adriano Romualdi

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