In un discorso tenuto
ad Amburgo il 28 aprile 1924, Oswald Spengler rievocò la figura del barone von
Ungern-Sternberg, che quattro anni prima aveva allestito un esercito “con il
quale in breve tempo avrebbe avuto saldamente in pugno l’Asia centrale. Quest’uomo
– disse Spengler – aveva legato incondizionatamente a sé la popolazione di
vaste regioni, e se avesse voluto prendere l’iniziativa e la sua eliminazione
non fosse riuscita ai bolscevichi, non ci si può figurare come risulterebbe già
oggi l’immagine dell’Asia” (1). Il barone Ungern-Sternberg era già passato alla
storia. E alla leggenda.
Dal noto libro di
Ferdinand Ossendowski Bestie, uomini e dèi (2) alle biografie romanzate di
Vladimir Pozner (3) e Berndt Krauthoff (4), che attrassero rispettivamente
l’attenzione di René Guénon (5) e di Julius Evola (6); dal film sovietico Ego
zovut Suche Batur, diretto nel 1942 da Aleksandr Zarchi e Josif Chejfiz (con
Nikolaj Cerkasov nei panni dell’eroe negativo Ungern) ai fumetti di Hugo Pratt
(7) della serie “Corto Maltese”; dai romanzi di Jean Mabire (8) e di Renato
Monteleone (9) fino alla pittura dell’artista siberiano Evgenij Vigiljanskij,
la leggenda del “barone sanguinario” ha continuato ad esercitare il suo
fascino. Nella Russia di oggi, dove Leonid Juzefovich (10) ha pubblicato la più
recente biografia del Barone, il mito di Ungern è particolarmente vivo presso
le correnti eurasiatiste e neoimperiali, che guardano a questo personaggio come
ad un loro precursore (11).
Secondo la Grande
Enciclopedia Sovietica, Roman Fedorovic Ungern von Sternberg nacque il 10 (22)
gennaio 1886 nell’isola di Dago (oggi Hiiumaa Saar, in Estonia) e morì il 15
settembre 1921 a Novonikolaevsk (oggi Novosibirsk). Alcune fonti “occidentali”,
invece, lo fanno nascere il 29 dicembre 1885 in Austria, a Graz; per quanto
riguarda la morte, oscillano tra il 17 settembre e il 12 dicembre del 1921 e
propongono ora Novonikolaevsk ora Verkhne-Udinsk (Ulan Ude, tra la riva
sudorientale del Baikal e il confine mongolo).
In ogni caso, la
famiglia del barone Roman Fedorovic (imparentata tra l’altro con quella del
conte Hermann Keyserling) apparteneva alla nobiltà baltica di lingua tedesca ed
era presente sia in Estonia sia in Lettonia: nel 1929 un esponente della
famiglia rievocava le sue vicissitudini a Riga, nel periodo dell’invasione
bolscevica (12). Il Genealogisches Handbuch des Adels si occupa estesamente
degli Ungern-Sternberg (13), individuandone il capostipite in un Johannes de
Ungaria (“Her Hanss v. Ungernn”), la cui esistenza è attestata in un documento
del 1232. Sul dato dell’origine magiara si innestarono alcune leggende: una
ricollegava gli Ungern agli Unni, un’altra li faceva discendere da un nipote di
Gengis Khan che nel XIII secolo aveva cinto d’assedio Buda.
E appunto dal
fondatore dell’impero mongolo Roman Fedorovic avrebbe ereditato un anello di
rubino con la svastica, mentre, stando ad un’altra versione, glielo avrebbe
consegnato il Qutuqtu, il Buddha Vivente di Urga, terza autorità nella
gerarchia lamaista dopo il Dalai Lama di Lhasa e il Panc’en Lama di
Tashi-lhumpo.
Compiuti gli studi al
Ginnasio di Reval, il Barone frequentò la scuola dei cadetti di San
Pietroburgo; nel 1909 trascorse un breve periodo con un reggimento di cosacchi
di stanza a Cita, in Transbaikalia, poi si diresse verso la Mongolia. Qui,
grazie all’affiliazione buddhista che gli era stata trasmessa dall’avo paterno,
Roman Fedorovic poté entrare in rapporto col Buddha Vivente. Nel 1911, quando i
Cinesi vengono cacciati dalla Mongolia e il Buddha Vivente diventa il sovrano
del paese, il Barone riceve un posto di comando nella cavalleria mongola. In quel
periodo, un oracolo sciamanico gli rivela che in lui si dovrà manifestare una
divina potenza guerriera.
Nel 1912 Roman
Fedorovic è in Europa. Allo scoppio del conflitto, abbandonando Parigi per
accorrere sotto i vessilli dello Zar, il Barone conduce con sé una fanciulla di
nome Danielle, la quale perirà in un naufragio sul Baltico. Nel 1915 combatte
in Galizia e in Volinia, riportando quattro ferite e guadagnando due altissime
onorificenze: la Croce di San Giorgio e la Spada d’Onore. Nel 1916 è sul fronte
armeno, dove ritrova l’Atamano Semenov, che aveva conosciuto in Mongolia.
Nell’agosto del 1917, dopo essere andato a Reval per organizzarvi alcuni
distaccamenti di Buriati da impiegare contro i bolscevichi, Ungern raggiunge
Semenov in Transbaikalia; qui diventa il capo di Stato Maggiore del primo
esercito “bianco” e organizza una Divisione Asiatica di Cavalleria (Asiatskaja
konaja divizija) in cui confluiscono mongoli, buriati, russi, cosacchi,
caucasici, perfino tibetani, coreani, giapponesi e cinesi. La Divisione
Asiatica di Cavalleria opera per tutto il 1918 nei territori orientali della
Siberia, tra il Baikal e la Manciuria.
Dopo l’evacuazione
giapponese della Transbaikalia, la successiva occupazione cinese della Mongolia
e l’instaurazione di un soviet “mongolo” sotto la direzione di un ebreo di nome
Scheinemann e di un pope rinnegato di nome Parnikov, il generale Ungern si
dirige verso la Mongolia alla testa dei suoi cavalieri. Il 3 febbraio 1921
investe Urga, costringendo alla fuga la guarnigione cinese, facendo a pezzi un
rinforzo nemico di seimila uomini e spazzando via il soviet locale. Il Buddha
Vivente Jebtsu Damba, liberato dalla prigionia e reintegrato nel suo regno,
conferisce a Ungern, che d’ora in poi sarà Ungern Khan, il titolo di “Primo
Signore della Mongolia e Rappresentante del Sacro Monarca”. Il terzo gerarca
del Buddhismo lamaista riconosce in Ungern una cratofania procedente dal suo
medesimo principio spirituale.
Ungern aveva
dichiarato fin dal 25 febbraio 1919, alla Conferenza Panmongola di Cita, la
propria intenzione di restaurare la teocrazia lamaista, creando una Grande
Mongolia dal Baikal al Tibet e facendone la base di partenza per una grandiosa
cavalcata verso occidente, sulle orme di Gengis Khan. Il vero scopo di Ungern
Khan non era infatti una pura e semplice distruzione del potere sovietico, ma
una lotta generale contro il mondo nato dalla Rivoluzione Francese, fino
all’instaurazione di un ordine teocratico e tradizionale in tutta l’Eurasia.
Ciò spiega da un lato la scarsa simpatia di cui Ungern godette presso gli
ambienti “bianchi”, dall’altro, il vivo interesse che il suo progetto suscitò
anche al di fuori delle cerchie lamaiste, in particolare presso gli ambienti
musulmani dell’Asia centrale.
Rivestendo la tunica
gialla sotto il mantello di ufficiale imperiale, alla testa di un’armata a
cavallo che innalza come propria insegna il vessillo con lo zoccolo e lo
svastica, il 20 maggio del 1921 Ungern Khan lascia Urga e penetra in territorio
sovietico presso Troitskosavsk (Kiakhta), travolgendo le difese bolsceviche.
Quindi impartisce l’ordine apparentemente insensato di eseguire una conversione
verso occidente e poi verso sud, in direzione dell’Altai e della Zungaria. La
sua intenzione, secondo quanto lui stesso dichiara al suo unico amico, il
generale Boris Rjesusin, è di attraversare il Hsin Kiang per raggiungere la
fortezza spirituale tibetana. “Egli – scrive Pio Filippani Ronconi – mosse
solitario verso una direzione che non aveva più rapporto con la realtà
geografica del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non
di salvare la vita, bensì di ricollegarsi, prima di morire, con il proprio
principio metafisico: il Re del Mondo” (14).
Il 21 agosto il
predone calmucco Ja lama, dopo avere ospitato Ungern nella propria yurta, lo
consegna ai “partigiani dello Jenisej” di P.E. Shcetinkin. Il generale Blücher,
comandante dell’esercito rivoluzionario del popolo della repubblica
dell’Estremo Oriente e futuro Maresciallo dell’URSS, cerca invano di
convincerlo ad entrare nell’esercito sovietico. Il 15 settembre Ungern viene
processato a Novonikolaevsk dal tribunale straordinario della Siberia.
Riconosciuto colpevole di aver voluto creare uno Stato asiatico vassallo
dell’Impero nipponico e di aver preparato il rovesciamento del potere sovietico
per restaurare la monarchia dei Romanov, è condannato a morte per fucilazione.
L’anello con la
svastica sarebbe entrato in possesso di Blücher. Si dice che, dopo la
fucilazione di quest’ultimo, avvenuta nel 1936, esso sia passato nelle mani del
Maresciallo Zhukov.
Note
1) O. Spengler, Forme
della politica mondiale, Ar, Padova 1994, p. 63.
2) F. Ossendowski, Bêtes, Hommes et Dieux,
Plon, Paris 1924.
3) V. Pozner, Le mors aux dents, Denoël, Paris
1937.
4) B. Krauthoff, Ich befehle. Kampf und
Tragödie des Barons Ungern-Sternberg, Carl Schünemann Verlag, Bremen 1938. Questo
libro, come pure quello di Pozner, rielabora i dati forniti da un testimone:
Essaul Makejev, Bog voiny, Baron Ungern (Il dio della guerra, il Barone
Ungern), Shangai 1926.
5) R. Guénon, Rec. in Le Théosophisme, Éditions
Traditionnelles, Paris 1978, pp. 411-414.
6) J. Evola, Rec. in
Esplorazioni e disamine. Gli scritti di “Bibliografia Fascista”, vol. I,
Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1994, pp. 249-253.
7) Il Barone Ungern è
anche uno dei personaggi principali del romanzo di Hugo Pratt Corte Maltese.
Corte Sconta detta Arcana, Einaudi, Torino 1996.
8) J. Mabire, Ungern,
le dieu de la guerre, Art et Histoire d’Europe, Paris 1987.
9) R. Monteleone, Il
quarantesimo orso, Gribaudo, Torino 1995.
10) L. Juzefovich,
Samoderzhec pustyni (L’autocrate del deserto), Ellis luck, Moskva 1993.
11) Ungern Khan: un
“eurasista in sella”? Questo il titolo che Aldo Ferrari ha dato a un paragrafo
del suo studio sulle correnti eurasiatiste russe, che si conclude riconoscendo
come il barone Ungern-Sternberg “sia divenuto nella cultura russa
post-sovietica una sorta di personaggio totemico della rinascita eurasista,
perlomeno della sua tendenza radicale ed esoterica” (A. Ferrari, La foresta e
la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Scheiwiller, Milano 2003,
p. 240). Aldo Ferrari cita poi queste parole dell’esponente più noto
dell’eurasiatismo russo odierno, Aleksandr Dugin: “In Ungern-khan si unirono
nuovamente le forze segrete che avevano animato le forme supreme della
sacralità continentale: gli echi dell’alleanza tra Goti e Unni, la fedeltà
russa alla Tradizione Orientale, il significato geopolitica della Mongolia,
patria di Cingischan” (A. Dugin, Misterii Evrazii, Moskva 1996, p. 96). A
paragone di questa immagine di Ungern Khan, appare alquanto infelice, perché
riduttivo e banale, il titolo sotto il quale sono stati recentemente raccolti
in Ungheria alcuni scritti di autori vari concernenti il personaggio in questione:
Az antikommunista. Roman Ungern-Sternberg barorol. Valogatott tanulmanyok
[L’anticomunista. Sul barone Roman Ungern-Sternberg. Studi scelti], Nemzetek
Europaja Kiado, Budapest 2002.
12) A. v.
Ungern-Sternberg, Unsere Erlebnisse in der Zeit der Bolschewiken Herrschaft in
Riga vom 3. Januar bis zum 22. Mai 1919, Kommissions Verlag
von Ernst Plates, Riga 1929.
13) Genealogisches Handbuch des Adels,
bearbeitet unter Aufsicht des Ausschusses fur adelsrechtliche Fragen der
deutschen Adelsverbande in Gemeinschaft mit dem Deutschen Adelsarchiv, Band 4
der Gesamtreihe, Verlag von C.A. Starke, Glucksburg/Ostsee 1952, pp. 457-479. Nel
1884 apparve in Germania una pubblicazione specificamente dedicata agli
Ungern-Sternberg (Nachrichten uber des Geschlecht Ungern-Sternberg), che
riproduceva stemmi, insegne e firme autografe dei vari membri della famiglia.
14) P. Filippani
Ronconi, Un tempo, un destino, “Vie della Tradizione”, n. 82, aprile-giugno
1991, p. 59.
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